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Buio e miseria in Siria, «ma di noi non si parla più»

Mancano gasolio ed elettricità, le scuole chiudono e il Covid fa migliaia di morti. «Eppure la Provvidenza non ci ha abbandonato». Parla padre Ibrahim, parroco ad Aleppo

Agnese Costa
14/10/2021 - 5:55
Esteri
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Padre Ibrahim Alsabagh, parroco ad Aleppo
Padre Ibrahim Alsabagh, parroco ad Aleppo (foto Ansa)

Al mercato nero di Aleppo, oggi, la merce più ricercata è il gasolio. A venderlo a prezzi maggiorati sono soprattutto i taxisti. I costi della benzina in tutto il paese sono schizzati alle stelle, il greggio è quasi introvabile e così il governo siriano è corso ai ripari introducendo delle quote (in litri) oltre le quali non si possono avere rifornimenti: 50 litri all’anno per famiglia, qualcosa di più per chi fa il taxista di mestiere. Ma quel “qualcosa di più” significa all’atto pratico poter gestire il taxi al massimo 13 giorni al mese.

Il buio profondo della Siria

Così diventa più conveniente rivendere le proprie taniche nelle bancarelle sotterranee e illegali che, dopo oltre dieci anni di guerra, non sono mai scomparse. Basterebbe questo per fotografare la miseria dei civili siriani. «Della Siria non si parla più e non ne facciamo un torto a nessuno», dice a Tempi padre Ibrahim Alsabagh, frate francescano della Custodia di Terra Santa parroco ad Aleppo. «Ma è giusto che proviamo comunque a raccontare cosa viviamo qui, perché siamo tornati a una situazione di emergenza senza precedenti. L’assenza di gasolio significa che intere famiglie non possono avere acqua calda per lavarsi o cucinare, non possono scaldare gli ambienti ora che l’inverno è alle porte; chi in famiglia lavora e generalmente usa l’auto per spostarsi, deve scegliere se cucinare un pasto caldo ai propri figli o se usare quel poco di benzina per provare a guadagnarlo, il pasto».

Le cose non vanno meglio per gli approvvigionamenti energetici: per comprare quel poco di energia necessaria a tenere accesa la luce in una stanza per circa un mese, un lavoratore statale dovrebbe impiegare il suo intero stipendio. Rinunciando ad acquistare viveri e generi di prima necessità. L’intera routine quotidiana, lavorativa e privata, del popolo siriano, ruota intorno a quelle poche ore in cui, miracolosamente, l’elettricità funziona. I più colpiti dalla situazione sono i ragazzi che frequentano la scuola: la cronica indisponibilità di energia elettrica ha reso impossibile la didattica online. Lo Stato, quindi, ha deciso di chiudere l’anno scolastico con mesi di anticipo. Il numero di bambini e adolescenti che abbandonano la scuola è drammaticamente aumentato. Il lavoro minorile è diventato una triste realtà.

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«E’ tremenda la povertà, soprattutto perché sfinisce non solo fisicamente ma anche moralmente. Quante persone incontriamo – casa per casa – che non fanno che ripetere che avrebbero dovuto lasciare la Siria tanto tempo fa. Gli anziani parlano solo di lasciarsi morire, i giovani di partire verso l’Egitto o gli Emirati in cerca di lavoro, chi si è rassegnato spesso vive un disagio profondo che rende le giornate dure e permeate di una aggressività o di una disperazione nera. Ma non è un film: è la vita quotidiana di oggi», racconta il francescano. La sera la città è al buio: troppo dispendiose le luci dei lampioni o nelle case, i blackout sono una costante.

La pandemia ha fatto il resto: migliaia di morti, pochi dati disponibili, vaccini irreperibili.  «Siamo nel pieno della quarta ondata, la più virulenta da quando il virus è arrivato nel paese. Nemmeno il 4 per cento della popolazione ha ricevuto il vaccino. Ad Aleppo vediamo morire ogni giorno moltissimi anziani, mentre c’è chi è costretto a vendere la propria casa per potersi pagare un ricovero e delle cure minimamente adeguate contro il Covid». A volte l’impotenza sembra sopraffare tutto, anche perché l’elenco delle disgrazie di questo popolo martire non si esaurisce qui: l’instabilità politica, le sacche di resistenza della jihad islamica, il pericolo sempre alle porte, la società sfaldata e ormai privata della sua parte migliore (tutta la classe medio-alta è fuggita all’estero da tempo, trovare professionisti in medicina, ingegneria, nell’insegnamento e nei settori vitali è praticamente impossibile), le famiglie si sgretolano, i bambini faticano ad andare a scuola e a costruirsi un futuro sereno.

Cinque pani e due pesci

I frati della Custodia non hanno mai smesso però di servire il popolo siriano – cristiani e musulmani non fa differenza. Entrano nelle case per ascoltare e portare conforto, ad Aleppo si sono organizzati per garantire  600 pasti caldi al giorno ai più bisognosi con il progetto Cinque pani e due pesci («Ma è dura, perché gli aiuti internazionali sono venuti meno e reperire il cibo è sempre più difficile e costoso»). I più bisognosi: lo sottolinea con forza quel “più”, padre Ibrahim, perché anche nella distribuzione dei pacchi alimentari e dei generi di prima necessità si è dovuta fare una cernita. Prima gli anziani non autosufficienti e soli, poi i disabili e le vedove con figli piccoli, infine le famiglie senza lavoro. Ma le necessità sono tante e alle porte del convento bussano ogni giorno decine di persone disperate.

«Ci siamo resi conto che c’era bisogno di qualcosa di più, oltre che riattivare tutti i progetti caritativi di assistenza che avevamo attivato durante gli anni più duri della guerra», dice ancora il parroco cattolico. «Certo ci siamo messi in gioco di nuovo per supportare su tutti i fronti la nostra gente, ma se non si ha cura anche del cuore delle persone a che serve tutto il resto?». Così è stato attivato il progetto San Simeone e Anna dedicato agli anziani abbandonati.

Il grido di Aleppo

«Simeone e Anna sono due figure a noi care perché aspettavano al tempio pregando con gli occhi fissi sulla Speranza di Israele che sarebbe arrivata. Nel solco di quell’attesa abbiamo pensato a degli incontri bisettimanali per i nostri anziani con temi culturali, sanitari, ma dove mettere anche a tema come un anziano può vivere la sua vocazione cristiana, oggi, anche in una condizione come questa. Sono oltre duecento coloro che hanno aderito, di tutti i riti cristiani, e molti ci hanno ringraziato. “Grazie perché ci sentiamo accolti, amati, voluti con tenerezza. Non siamo inutili”, ripetono». Ma il Vangelo va annunciato anche e soprattutto ai più piccoli, racconta il sacerdote. Nella sua parrocchia il catechismo non è mai mancato, bombe o non bombe. Così oggi sono oltre 1200 i bambini e giovani che lo frequentano.

«Hanno un amore per i sacramenti che possiamo solo invidiare: pensate che la domenica dobbiamo celebrare due messe solo per loro e che i tre confessori che ci sono non sono mai sufficienti a esaurire la fila». Il grido ferito di Aleppo è il grido di chi però ha ancora voce. «La Provvidenza – questo lo posso testimoniare – non ci ha mai abbandonato: penso ai tanti giovani volontari che si sono resi disponibili per cucinare i pasti caldi, per fare compagnia agli anziani. Nessuno si è messo a fare calcoli o a contare le ore di servizio: danno, danno, continuamente danno. E noi possiamo solo imparare da questa gratuità. Non possiamo rimanere seduti a piangerci addosso: la nostra posizione è quella di metterci al servizio, “di lavare i piedi” della nostra gente perché è quello che Cristo farebbe. Quanto è grande Dio, quanto è bello conoscerLo. Da Lui ci arriva quella carità creativa e operativa che ci fa alzare ogni giorno nonostante le difficoltà. Per questo dico grazie».

Tags: aleppo cristianialeppo siriachiesa cattolicaCovid-19Siria
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