Ottanta euro, province, tasse e altri busillis. Se la Legge di Stabilità è solo una partita di giro
Con la Legge di Stabilità proposta da Renzi si è aperto il confronto tra Stato ed enti locali rispetto al contributo di questi ultimi al risanamento della finanza pubblica. Rispetto ai comuni nel documento all’esame del Parlamento si parla di un taglio ai trasferimenti per un miliardo e 200 milioni. In realtà, ha denunciato l’Associazione nazionale dei comuni (Anci), se si considerano le precedenti manovre che hanno già effetto sul 2015, i tagli subiti salgono a 3 miliardi e 700 milioni. Si prendano per esempio gli 80 euro in vigore dal maggio scorso. Solo a copertura del bonus fiscale istituito con la legge 89 del 2014, l’art. 47 comma 8 sancisce che nei prossimi 3 anni alle amministrazioni comunali verranno tagliati trasferimenti per più di 2 miliardi, che si aggiungono agli oltre 15 degli ultimi 7 anni. Oggi si parla di maggiori sacrifici da parte dello Stato centrale, ma dal 2008 il peso maggiore delle manovre è stato scaricato sempre sugli enti locali. La Commissione per l’attuazione del federalismo fiscale rileva una crescita dell’incidenza sulla spesa primaria delle regioni fino a -38,5%, contro un -12,2% su quella dello Stato.
E nemmeno le città metropolitane se la passano meglio, così come le nuove province. Sempre a copertura degli 80 euro esse subiscono già alla nascita un taglio del 36% delle entrate proprie sia sull’anno in corso che sul 2015. «Non possono pensare di continuare a spendere come prima» ha dichiarato il presidente del Consiglio. Non si capisce, però, perché le province continuino a rimanere in vita e nella proposta di riforma costituzionale del ministro Boschi non ne sia prevista la cancellazione definitiva. Al contrario; c’è la possibilità di trasformarle in una sorta di “prefettura parallela” con l’attribuzione allo Stato della competenza esclusiva “sull’ordinamento degli enti di area vasta”. Insomma un declassamento, con privazione dell’autonomia politica e scippo della legittimazione popolare, ma non la soppressione. Infondo questa scelta non è contraddittoria se si pensa che, con la riforma Delrio, si assiste addirittura ad un potenziamento delle funzioni delle province con l’attribuzione di quelle dei vari enti/agenzie/consorzi che esercitano servizi di rilevanza economica su scala subprovinciale (l. 56/2014 co. 90).
Il punto dolente, però, è che con l’attuale Legge di Stabilità l’Unione delle province lombarde (Upl), per esempio, denuncia l’impossibilità a continuare ad assicurare certi servizi che già oggi sono in capo a questo ente territoriale. Infatti, attualmente, il 70% del sistema viario nazionale e la manutenzione delle scuole secondarie rimangono funzioni di competenza provinciale. Nel caso di quella di Milano il conteggio effettuato vede oltre 77 milioni di euro di tagli e, dopo il calcolo di spese obbligatorie e degli importi minimi per la sicurezza di strade e istituti superiori, un saldo negativo di 96 milioni di euro.
Per quel che riguarda il Comune di Milano, la misura sugli 80 euro è già costata 15 milioni di trasferimenti in meno solo nel 2014. Nel 2015 il bonus in busta paga, fortemente voluto da Renzi, costerà a Palazzo Marino 13 milioni. Cui si aggiungeranno i tagli della Legge di Stabilità che, secondo alcune prime stime, si aggirano tra i 60 e i 100 milioni. E si sa che lo stesso Pd che a Roma con una mano concede gli 80 euro ai lavoratori dipendenti, con l’altra a Milano sosterrà l’ulteriore aumento di tasse e tariffe a danno dei cittadini. Del resto è “il film” che si è già visto in questi anni: a fronte di 318 milioni di mancati trasferimenti da Roma, a partire dal 2010, cioè -63%, la Giunta Pisapia ha più che raddoppiato le entrate tributarie. Dai 631 milioni dell’ultimo bilancio firmato Moratti, infatti, si è passati a 1 miliardo e 342 milioni del previsionale 2014.
Tanto che il secondo Rapporto annuale sulla fiscalità locale di Assolombarda registra nel solo 2013 un aumento di tasse del 13% nel territorio compreso nelle province di Milano, Lodi e Monza e Brianza. Il capoluogo lombardo è la prima città nella triste classifica che vede coinvolti 86 comuni dell’area, dove operano stabilmente quasi il 90% degli imprenditori associati. Qui, nel corso dell’ultimo anno, un capannone industriale tra Imu e Tares ha versato al Comune 58.516 euro di tasse. E non è un problema solo locale. Lo stesso trend è stato segnalato a livello nazionale dalla Corte dei Conti, durante un’audizione parlamentare del 6 marzo 2014. In oltre vent’anni la pressione fiscale complessiva è cresciuta dal 38% al 44% e per 4/5 è spiegabile con la maggiorazione delle entrate locali: «Le evidenze quantitative, insomma, sembrano testimoniare una mancanza di coordinamento fra prelievo centrale e locale, sconfinata nell’aumento della pressione fiscale complessiva a causa di una sorta di “effetto combinato”: lo Stato centrale taglia i trasferimenti ma lascia invariato il prelievo di sua competenza; gli enti territoriali che, per sopperire ai tagli dei trasferimenti, aumentano le aliquote dei propri tributi, a volte anche più dell’occorrente».
È evidente, insomma, che nonostante i 18 miliardi di riduzione fiscale annunciati, la prima Legge di Stabilità del governo Renzi rischia di essere una enorme partita di giro. L’esecutivo è di fronte ad un bivio: o proseguire con le operazioni di prestigio oppure mettere davvero mano alle famigerate riforme strutturali. Magari abbattendo le spese di funzionamento. Di accorpamento di comuni e regioni, di superamento della frammentazione istituzionale, secondo il criterio per cui quanto più un territorio è popolato tanto aumenta la sua possibilità di raggiungere l’autonomia finanziaria, non se n’è vista l’ombra. Fino ad ora quel che si è vista all’opera è una logica punitiva, un volontà anti-autonomista, con l’unica prospettiva di far guadagnare alcuni punti percentuali di gradimento al premier. Magari sull’onda di qualche scandalo sul consigliere regionale di turno, denunciato ad arte da un organo di stampa compiacente.
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