«Offriamo cure palliative, non eutanasia. Per questo il Canada vuole chiuderci»
Articolo tratto dal numero di aprile 2020 di Tempi. Questo contenuto è riservato agli abbonati: grazie al tuo abbonamento puoi scegliere se sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.
«Non potevo credere ai miei occhi: sono rimasta scioccata, sbalordita». Il ricatto è arrivato in carta bollata a dicembre e, al di là della terminologia burocratica, il succo era molto semplice: garantite l’eutanasia ai vostri pazienti o chiudete per sempre. Angelina Ireland, da appena un mese nominata in Canada a capo del consiglio di amministrazione della Delta Hospice Society, non riusciva a capire: perché mai l’Irene Thomas Hospice, centro piccolo e accogliente sorto nella città di Delta per accompagnare con le cure palliative i malati più gravi fino alla fine naturale della loro vita, avrebbe dovuto ucciderli con l’iniezione letale?
La Fraser Health Authority (Fha), uno dei cinque enti che gestisce la sanità pubblica nella provincia canadese della British Columbia (Bc), se n’è lavata le mani: è la legge. L’eutanasia infatti è diventata legale nel paese nel giugno 2016 e a settembre la provincia di Bc ha stabilito che tutte le strutture mediche e di cura finanziate almeno al 50 per cento dall’autorità pubblica devono garantire l’eutanasia ai pazienti.
Sapendo che la sua struttura riceve quasi il 100 per cento dei fondi dalla provincia, Ireland si è subito ribellata, anche perché «quando l’eutanasia è diventata legale ci avevano garantito che gli hospice sarebbero stati liberi di scegliere. Ci avevano assicurato che avrebbero rispettato la nostra libertà di coscienza». Poi ha scelto la strada del compromesso, proponendo di svolgere lo stesso lavoro per la comunità ma con la metà dei fondi pubblici, così da non rientrare nella fascia dell’obbligo stabilita dal governo. Secca la risposta del ministro della Salute, Adrian Dix: «Non spetta a loro proporre accordi. Scelgano cosa vogliono fare: o l’eutanasia o i fondi. Hanno tempo fino al 3 febbraio».
Ireland non ha ceduto all’ultimatum e a febbraio il governo ha tagliato i fondi per il 2021 alla società, che sarà così costretta a chiudere. Ora la presidente della Delta Hospice sta preparando le carte per il tribunale e a Tempi rivela: «Quando l’eutanasia è stata introdotta, mai avrei pensato che un giorno avrei dovuto scegliere tra uccidere i pazienti di cui ci prendiamo cura e chiudere. L’eutanasia è un pericolo per l’umanità: tutti devono capirlo».
Presidente Ireland, perché non vuole garantire l’eutanasia ai suoi pazienti?
La Delta Hospice è una società che opera da quasi 30 anni, l’Irene Thomas Hospice è aperto da 10 anni, offriamo cure palliative a 10 pazienti alla volta e a ciascuno spieghiamo fin da subito che l’eutanasia non è tra i servizi che offriamo.
Perché?
Perché è incompatibile con le cure palliative, una disciplina nata a Londra nel 1967 e portata in Canada negli anni Settanta dal dottor Balfour Mount. L’obiettivo è rimasto da allora lo stesso: occuparsi della sofferenza e del dolore di pazienti inguaribili – dal punto di vista fisico, sociale e spirituale – per permettere loro di vivere con serenità e dignità fino a quando la morte non sopraggiunge.
E perché secondo lei sarebbe incompatibile con l’eutanasia?
Non lo sostengo io, basta andare a leggere la definizione che ne dà l’Organizzazione mondiale della sanità: le cure palliative affermano il valore della vita e considerano la morte come un processo naturale che non intendono accelerare né posporre. È quello che facciamo noi: non acceleriamo la morte.
E i malati che vogliono l’eutanasia?
In Canada si può avere dappertutto: si può morire nei parchi, sulle montagne, a casa, in ospedale. L’ospedale di Delta, in particolare, è a un minuto dal nostro hospice, lo vedo dalla mia finestra. Non capisco perché chiudere i pochi luoghi dove si può vivere fino alla fine.
Nessuno dei vostri pazienti ha mai chiesto di morire?
Da quando la legge è stata approvata nel 2016 è successo tre volte e abbiamo accompagnato due pazienti a casa e uno in ospedale. Ma è davvero raro: quando la gente scopre che con le cure palliative il dolore è tenuto sotto controllo non cerca altre strade.
Il governo però vuole chiudervi.
Il loro atteggiamento è incomprensibile. Dieci anni fa ci hanno chiesto di diventare loro partner perché fornivamo cure palliative. Oggi ci vogliono chiudere perché forniamo cure palliative.
Non siete riusciti a trovare un accordo?
Con questi socialisti del New Democratic Party pare impossibile. Al momento ci versano 1,5 milioni di dollari all’anno. Ho proposto al ministro Dix di lasciarci solo 750 mila dollari in cambi dello stesso servizio. Mi sembra un buon compromesso. Ma loro ci hanno risposto: o l’eutanasia o niente.
Non potete trovare altri finanziatori?
Il problema è proprio qui. Se lo Stato non vuole più essere nostro partner, non siamo certo contenti ma non ci stracciamo le vesti. Siamo sicuri di poter trovare nuovi investitori privati. Il nostro hospice serve alla comunità, le cure palliative sono apprezzate, non ho dubbi che ce la faremo.
E allora qual è il problema?
È molto semplice: il governo non si è limitato a tagliarci i fondi per il 2021, ci ha anche preannunciato che ci toglierà la licenza per impedirci di gestire l’Irene Thomas Hospice. Chi non accetta di uccidere i pazienti con l’eutanasia, a quanto pare, non può più gestire un hospice. Ma c’è di peggio.
Che cosa?
Tagliandoci i fondi, impedendoci di trovare altri finanziatori e di gestire l’hospice non potremo più pagare l’affitto di 35 anni per il terreno sul quale abbiamo costruito l’Irene Thomas Hospice. Per edificare la struttura abbiamo infatti raccolto nella comunità 9 milioni, non è costata neanche un dollaro alla provincia, alla quale in 10 anni abbiamo invece “donato” 700 mila ore di lavoro volontario.
E se non pagherete più l’affitto?
Il governo ci ha già detto che esproprierà il nostro hospice e gli altri edifici che abbiamo per gestirli in autonomia. Ovviamente dopo aver introdotto l’eutanasia. Pensavo di vivere in Canada, invece mi sono ritrovata da un giorno all’altro in Unione Sovietica.
Addirittura?
Come lo chiamate in Italia un governo locale che introduce una politica lesiva della tua libertà, che ti elimina se non la rispetti e poi ruba le tue proprietà? Io lo chiamo comunista, ecco come.
Ricapitolando: il governo rinuncia a risparmiare 750 mila euro all’anno pur di introdurre l’eutanasia in un piccolo hospice di provincia?
Perderanno molto di più: oltre all’affitto, non potranno più godere di migliaia di ore di lavoro volontario che noi garantivamo e che valgono molto più degli 1,5 milioni che ci davano ogni anno.
Perché il governo è così intransigente secondo lei?
Per due motivi: da un lato, l’eutanasia è diventata una ideologia da imporre calpestando tutti gli altri diritti. Noi non abbiamo forse diritto alla libertà di coscienza? E i malati non hanno diritto a passare gli ultimi giorni della loro vita senza trovarsi di fianco a qualcuno che viene ucciso o senza dover assistere ai party del suicidio?
Ha detto “party del suicidio”?
Sì, vanno molto di moda qui in Canada. Le persone ingaggiano un’agenzia per organizzare una festa di addio alla vita e programmare la propria esecuzione: come ci si deve vestire, che cosa si beve, che musica si ascolta. E al culmine della festa un medico fa l’iniezione letale e dopo circa 20 minuti il paziente muore. Si tratta di funerali viventi che danno lavoro a tanta gente ormai, ma nel nostro hospice non vogliamo niente di tutto ciò. Né io né i miei pazienti vogliamo avere a che fare con questi party.
Qual è il secondo motivo per cui il governo non vuole sentire ragioni?
Abbiamo parlato di soldi ed è vero che eliminandoci la provincia ne perde molti. Credo però che il governo, pur senza dirlo, pensi che nel lungo corso risparmierà eccome: uccidere i pazienti a conti fatti è molto più economico che occuparsi di loro con le cure palliative. È un paradosso.
Quale paradosso?
Abbiamo un governo socialista che per imporre l’eutanasia chiude gli hospice. E la famosa libertà di scelta dove finisce? Se la “buona morte” entra in un hospice che fornisce cure palliative, questo non è più un hospice. Quando la legge è stata introdotta a livello federale, ci avevano garantito che avrebbero rispettato il nostro lavoro.
Si aspettava questa giravolta?
Devo essere sincera, assolutamente no. L’eutanasia è davvero insidiosa e la gente dovrebbe stare molto attenta. Basta vedere che cosa è successo nel mio paese: all’inizio potevano accedere all’eutanasia solo le persone la cui morte era ragionevolmente prevedibile nel giro di pochi mesi. Dovevano anche provare una sofferenza insopportabile, fisica o psicologica. Ora, dopo soli tre anni, hanno cambiato la legge: chiunque può richiedere l’iniezione letale, anche se non soffre fisicamente e non ha una malattia terminale.
È teoria del piano inclinato.
Sono preoccupata. Che cosa ne sarà degli anziani, che hanno solo qualche acciacco dovuto all’età, dei disabili, dei malati di Alzheimer e dei bambini? Sì, perché hanno già proposto di estendere l’eutanasia anche ai minori. L’eutanasia non protegge i più vulnerabili, è un pericolo per tutta la società. Non avete idea di quanto sia diventato facile uccidersi qui.
Lei è personalmente contraria all’eutanasia, magari per ragioni di fede?
Quello che penso io non ha nessuna importanza. Questa è una battaglia laica: io sono presidente di una società che amministra cure palliative. Punto. La medicina palliativa è un tesoro nazionale, anzi, un tesoro per tutta l’umanità. Ora rischia di essere distrutta, potremmo fare un balzo indietro di 50 anni. Sa che cosa succederà?
Che cosa?
La gente avrà paura ad andare negli hospice, sapendo che anche lì si può essere uccisi. Eravamo un santuario: ora non lo siamo più.
Lei legge i giornali locali?
Sì, certo.
Non mi sembrano molto favorevoli alla posizione che avete assunto.
Questa vicenda ha polarizzato la nostra comunità, in tanti sono arrabbiati con me perché non capiscono che cosa sono le cure palliative, non capiscono perché non possono convivere con l’eutanasia. Del resto, in Canada la stragrande maggioranza della popolazione approva la “buona morte”. Almeno in teoria, perché poi è una soluzione scelta solo dall’uno o dal due per cento della popolazione. Tutti invece vorrebbero le cure palliative, ma i posti letto sono pochi.
Ha ricevuto anche insulti?
Non sa quanti mi hanno chiamata “mostro”, mi hanno definita “disgustosa” e ci sono epiteti che preferisco non ripetere. Hanno cercato di costringermi a dimettermi e non posso negare che gli ultimi mesi siano stati davvero faticosi. Ma il cda ha deciso di non mollare e ne sono fiera.
Non le sembra di combattere contro i mulini a vento?
Non sono finita a lavorare alla Delta Hospice per caso. Anni fa mi sono ammalata di cancro e tra operazioni, chemioterapia e radioterapia avevo bisogno di aiuto. Mi sono imbattuta nel programma ideato dalla società “Vivere con il cancro”, un luogo speciale dove ho incontrato compagni di viaggio meravigliosi e che per me è stato fondamentale. Cinque anni fa sono guarita, altri miei amici non ce l’hanno fatta, e io non ho scordato chi mi ha accompagnato in questa battaglia. Così, ho deciso di mettere le mie competenze di imprenditrice e amministratrice al servizio della società, per restituire qualcosa di quello che ho ricevuto. Sono entrata nel cda due anni fa e da novembre ne sono presidente.
Non poteva scegliere momento più complesso.
Ogni volta che ricevo un insulto, faccio memoria della mia storia personale e vado avanti. Quando dico che la medicina palliativa è un tesoro nazionale so quello che dico. Noi dovremmo offrire il meglio della nostra scienza e del nostro cuore a chi sta per morire. Questa è la mia filosofia: difendere la santità della vita. E l’Irene Thomas Hospice lo fa.
Qual è il vostro piano ora?
Uno solo: combattere. Assumeremo una squadra di avvocati e anche se ci verrà a costare molti soldi porteremo il governo in tribunale. Non ci hanno lasciato altra scelta. Dobbiamo difendere i nostri malati.
Da che cosa?
Dall’eutanasia, che è un pericolo per tutti. Nel momento stesso in cui si afferma il principio che uccidere è giusto, si perde la propria umanità. So che in Italia il suicidio assistito è stato depenalizzato e vi consiglio di non permettere che l’eutanasia si faccia strada anche nel vostro paese. Altrimenti anche voi, come noi, dovrete presto scegliere tra la vostra coscienza e il vostro lavoro. So che sembra impossibile, ma credetemi: anche a me sembrava impossibile solo tre anni fa.
Foto pxhere.com
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