Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti)
Negli ultimi mesi di papa Benedetto regnante sembrava che tutte le notizie del mondo si fossero date appuntamento in Vaticano. Lo scandalo dei derivati che hanno assassinato l’economia mondiale era passato in cavalleria. E lo Ior faceva più rumore di Lehman Brothers. Rubavano negli appartamenti del Santo Padre e avevano scoperto che lo 0,1 per cento della pedofilia mondiale riguardava i preti. Perciò furto e ricettazione vennero chiamati “diritto all’informazione”. E quello 0,1 ebbe il clamore di un fenomeno al 100 per cento annidato in casa cattolica. Un minuto dopo le dimissioni di papa Ratzinger tutto il cancan svanì e la Chiesa ebbe salva la reputazione. La luce che illuminava di amorevole razionalità un mondo capovolto si spegneva all’ombra di tutte le buone intenzioni cresciute sotto l’albero del pensiero unico. Cresciuto a sua volta nel giardino delle divinità virtuali.
Strana eterogenesi dei fini e delle intenzioni (ammesso e non concesso che i fini siano onesti e buone le intenzioni): invece che progredire verso il paradiso terrestre, continuiamo a procedere a tentoni in un regno di divinità provvisorie e virtuali, ma governato dalla ferocia piuttosto che dalla virtù. Confusione evidente, che ci si offre per tramite del politicamente ed emotivamente corretto. Analgesico al mal di testa che ha preso l’uomo della strada da che non gli viene ripetuto altro (dai potenti e dai benpensanti pagati dai potenti) di star tranquillo, che la “modernità” e il “cambiamento” infine metteranno a posto tutte le cose. Infine però, l’uomo della strada spaurisce (ad esempio per l’ondata di migranti), molla i messaggi benintenzionati, moderni, tranquillizzanti, e grida che “si stava meglio quando si stava peggio”.
Ecco a cosa è servito anche il doppio giro alla Casa Bianca di Barack Obama che incrocia non casualmente il tramonto dell’epoca giovanpaolina e ratzingeriana: il mondo sta molto peggio adesso che Cristo è una cartolina alla Che Guevara dell’amore in tutto e in tutti, piuttosto che quando l’imperatore non ci pensava affatto a incarnare il Salvatore di un racconto di Solov’ëv. Teneva i piedi ben piantati per terra e gli Stati Uniti erano economia reale invece che utopia “LoveIsLove”. Quando gli Stati Uniti avevano una politica estera e presidiavano con una poderosa macchina militare le zone calde del pianeta. E quando rispettavano la libertà religiosa e non ritenevano che la Chiesa cattolica dovesse per forza benedire, con le buone o con le cattive, il pensiero unico promosso dall’imperatore.
Dal ritiro nell’isolazionismo finto-pacifista della guerra tecnologica fatta coi droni e nella predica dell’utopia dei “diritti” infiniti, il Presidente-Imperatore ha alternato il lavoro di avvelenatore delle sorgenti a quello di piazzista dei prodotti della Silicon Valley.
Dopo otto anni di spottoni al destrutturalismo delle lobby gay e, di là dall’Occidente, al radicalismo musulmano protagonista delle cosiddette “primavere arabe”, da faro delle libertà l’America è diventata una fabbrica di conformismo esportato alla velocità della luce da quelle macchine da soldi – secondo la felice copertina dell’Espresso – che sono Facebook, Amazon, Google e Apple. Ogni giorno un miliardo e mezzo di utenti si intrattengono su Facebook e altrettanti si nutrono di format elaborati secondo criteri emotivamente e politicamente corretti. Ben sorvegliati, in cima alla catena di social network, dal Grande Fratello obamiano.
Beppe Grillo, l’utile indignato
Si capisce che in Italia sia Grillo il piazzista di questa “democrazia via web” che in realtà esalta il padrone in cima alla catena. Fa bene alle corporation che guadagnano 7 miliardi di dollari all’ora. Fa male ai criceti che battono come ossessi notizie spappolate per attizzare reazioni a livello dei genitali. Ma porta acqua al mulino della famosa “indignazione in Rete” che serve a destabilizzare la democrazia reale e, appunto, all’industria miliardaria dell’intrattenimento umorale.
Insomma, un mondo destinato a finire nella noia mortale. Ma che intanto, con i suoi tecno-cannibali, si mangia il mercato, fagocita l’economia e, forse, anche un po’ i nostri cervelli e cuori umani.