Non si costruisce un’unità nazionale su una festa divisiva come il 25 aprile

Di Marco Invernizzi
16 Maggio 2020
Quanto odio nei cortei anni Settanta. E pure nel 2020 non sono mancati squilibri: via libera ai partigiani nelle celebrazioni della Liberazione, Messe vietate a Pasqua per i cattolici
Celebrazione del 25 aprile a Napoli con il sindaco De Magistris e il presidente Anpi locale

Articolo tratto dal numero di maggio 2020 di Tempi. Questo contenuto è riservato agli abbonati: grazie al tuo abbonamento puoi scegliere se sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.

Il 25 aprile 1945 si celebra in Italia la liberazione dal nazifascismo. Una data importante perché pone termine a una guerra civile che aveva diviso gli italiani fra coloro che avevano seguito Mussolini nella Repubblica sociale a fianco della Germania di Hitler e i partigiani di diverse formazioni politiche che combatterono contro tedeschi e fascisti. Forse, più che di Resistenza si dovrebbe parlare di resistenze, perché ci fu una resistenza egemonizzata dal Pci, un’altra di ispirazione cattolica i cui esponenti vennero spesso eliminati (anche fisicamente) dai rivali comunisti e un’altra ancora di ispirazione monarchica a cui si può in un certo senso collegare l’esercito del Sud che si ricostituì dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 e che prenderà il nome di Corpo italiano di liberazione, le cui gesta sono state raccontate da Eugenio Corti in Gli ultimi soldati del Re

Come ha spiegato Renzo De Felice nella sua immensa opera di ricerca storica sul fascismo, fra il 1943 e il 1945 si scontrarono due minoranze. La maggioranza degli italiani assistette con una certa estraneità a questa lotta fra due ideologie, fascismo e comunismo, che volevano imporre un proprio modello politico alla nazione. Sarà questa “zona grigia” a ricostruire il paese nel dopoguerra, a sancire l’appartenenza dell’Italia alla civiltà cristiana e occidentale con la vittoria della Dc nel 1948, a governare nel miracolo economico, a resistere alla penetrazione del comunismo negli anni Sessanta. 

La maggioranza silenziosa

Sarà successivamente una “maggioranza silenziosa” ma operosa, che spesso verrà tradita dai partiti di riferimento, ma che si esprimerà pubblicamente nei momenti importanti della storia italiana, come nelle manifestazioni del 1970, nelle elezioni del 1994 che portarono al governo i “moderati” contro la “gioiosa macchina da guerra” degli ex comunisti, nei tre Family day del 2007, 2015 e 2016. Questa maggioranza di moderati non riuscirà a impedire una erosione di tipo laicista al suo interno, anche se rimarrà sostanzialmente rappresentativa della metà e anche più degli italiani, che si identificheranno nelle forze anticomuniste e contrarie alla sinistra.

Per questo la ricorrenza del 25 aprile mi ha sempre lasciato perplesso come evento attorno al quale costruire un’identità nazionale. Intanto perché evoca una guerra civile, poi perché, soprattutto a partire dagli anni Sessanta, ha prodotto sempre più divisione, da quando le forze della sinistra extraparlamentare hanno cominciato a usare quella data come il giorno dell’odio contro il fascismo, la Dc e le forze dell’ordine che ostacolavano la loro azione, permettendo l’agibilità politica ai fascisti e ai loro protettori. Chi ha vissuto gli anni Settanta ricorderà quanto odio accompagnava i cortei del 25 aprile. Anche quest’anno la Festa della liberazione ha sollevato parecchie perplessità: non ci si può dimenticare il governo che autorizza le associazioni partigiane a presenziare alle manifestazioni dopo avere chiesto ai fedeli cattolici di rinunciare a partecipare alle Messe per la Pasqua.

Bandiere sbiadite

E allora? Se il problema è restituire un’identità a un popolo smarrito e senza ideali, che non trova princìpi comuni e che per anni ha disprezzato il tricolore salvo poi recuperarlo, soprattutto con la presidenza di Carlo Azeglio Ciampi, nel disperato tentativo di costruire un’unità nazionale che non c’è mai stata, allora le date sono importanti e bisogna riflettere su quello che evocano. È difficile enunciare il valore della pace e contemporaneamente celebrare come anniversario di importanza nazionale la data del 24 maggio 1915, quando alcune minoranze nel paese impongono l’ingresso in guerra dell’Italia contro gli ex alleati di dieci mesi prima, tradendo la neutralità che la maggioranza dei cittadini e del Parlamento volevano. Così come è difficile parlare di pacificazione evocando una data divisiva come il 25 aprile. 

Bisogna veramente che tutti facciamo un grande e sincero sforzo di purificazione della memoria, liberandoci definitivamente dal portato delle ideologie del Novecento, guardando “dentro” gli anniversari che celebriamo, ripercorrendo la storia senza aver paura di rinunciare ai falsi miti su cui abbiamo cercato invano di costruire un’identità italiana.

Foto Ansa

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