Non è facoltativo opporsi alle leggi che minano il vivere civile

Di Alfredo Mantovano
16 Giugno 2017
Le energie ci sono: i luoghi educativi esprimono intelligenze di livello; le piazze si riempiono; manca però il collegamento con il piano politico

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Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Ipotesi n. 1. La legislatura va alla scadenza naturale e i mesi antecedenti alla sua conclusione saranno impiegati per varare le proposte di legge rientranti nella cosiddetta “agenda Repubblica”, dal nome della testata che da un paio di settimane ha avviato una intensa campagna tesa alla loro approvazione: ius soli, introduzione del reato di tortura, riforma del codice antimafia, nuovo processo penale, dat, legalizzazione della cannabis. Tolto qualche passaggio delle norme antimafia e della riforma della procedura penale, si tratta di disposizioni micidiali, che accentuerebbero la descrizione della legislatura in scadenza come di quella che ha causato il maggior danno ai fondamenti del vivere civile. Non si vedono barricate per fermarne l’iter: è evidente che il blocco alla soglia del 5 per cento è più importante del blocco dell’eutanasia; mentre si annuncia una battaglia epocale contro l’allungamento della prescrizione, non invece contro la moltiplicazione delle canne in circolazione legale.

[pubblicita_articolo allineam=”destra”]Ipotesi n. 2. La legislatura chiude in anticipo per l’esplosione di una mina sul percorso. Se ne stanno disseminando non poche, in primis la parziale reimmissione dei voucher, che farebbero a pezzi la maggioranza. Se il Parlamento finisce prima del tempo, cessa il pericolo nell’immediato, ma, se non cambia nulla, nella prossima legislatura la musica riprenderà. Che cosa dovrebbe cambiare? È presto detto: il senso di rassegnazione (talora di complicità) di una parte del mondo cattolico di fronte all’aggressione alla vita, alla famiglia, alla libertà di educazione.

Intanto superiamo l’equivoco “da quando c’è papa Francesco…”. Più che un equivoco, è un alibi per la propria inerzia: il Papa lo ha detto, «non esistono i vescovi-pilota», il che vuol dire che la responsabilità è tutta dei laici all’interno della Chiesa. L’ultima modalità di presenza pubblica dei cattolici italiani, con il coinvolgimento formale della realtà ecclesiale, è stato il Family day del 2007, sei anni prima dell’inizio dell’attuale pontificato (i Family day del 2015 e del 2016 sono avvenuti senza partnership ecclesiale). L’abbassamento di profilo è iniziato da almeno un decennio, nonostante il prezioso magistero di papa Benedetto sul rapporto tra fede, cultura e politica.

Va pure superato un altro equivoco: quello secondo cui il laicato cattolico si occupa di tanto altro, va già bene che costruisca le basi educative, chi vorrà opererà in coerenza con esse. È evidente che la realtà laicale italiana che è parte attiva della Chiesa con movimenti e associazioni non ha vocazione esclusiva per la politica. Ma è altrettanto vero che: a) la dottrina sociale della Chiesa è da sempre «parte integrante della concezione cristiana della vita»; b) lo è perché le leggi dello Stato condizionano i comportamenti dei singoli e del corpo sociale.

Le norme incidono sul costume
Qualche giorno fa il Corriere della Sera ha pubblicato dati interessanti: dal 2008 al 2014 per ogni mille matrimoni celebrati in Italia vi sono state in media 300 separazioni, con un trend in costante crescita. La tendenza dei divorzi si è mantenuta più regolare, attorno a quota 180. Nel 2015 le due linee registrano un balzo: le separazioni dalle 320/1.000 del 2014 a 340, i divorzi da 180/1.000 del 2014 a 297! Come si spiega un incremento del 60 per cento in appena dodici mesi? Si spiega perché nel 2014 il Parlamento ha varato il divorzio breve e il divorzio facile; con riduzione fino a sei mesi dall’azione di separazione del termine per chiedere il divorzio e, se le parti concordano, senza necessità del giudice: basta l’avvocato o l’impiegato del Comune. Le leggi incidono sul costume: chiamare a ragione chi la promuove non è alternativo, è complementare, rispetto alla formazione delle coscienze.

Le energie ci sono: gli atenei e i luoghi di formazione continuano a esprimere intelligenze e studi di livello; manca il collegamento col piano della politica. Una base di riferimento esiste e non è minuscola: lo hanno testimoniato i Family day di piazza San Giovanni e del Circo Massimo. Ma pur essa non ha con chi raccordarsi per dare eco nelle istituzioni alle istanze delle famiglie scese in piazza. Esistono le forze per venir fuori da questa condizione di volontaria minorità: basta volerlo. Sono almeno 50 anni che vecchie e nuove “scelte religiose” concorrono a regalarci disastri prima normativi, poi sociali.

Foto Ansa

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