«Nobel per la pace a Memorial? È un onore, ci dimostreremo degni»
«Ricevere il premio Nobel per la pace in un momento come questo è una sensazione strana. È un onore troppo grande essere premiati insieme ai nostri colleghi ucraini, che lavorano sotto le bombe lanciate dal mio paese. Ora dobbiamo dimostrarci degni». Così Aleksandra Polivanova, membro del comitato direttivo di Memorial, ha commentato la decisione di Oslo, che una settimana fa ha premiato, insieme all’associazione russa, l’ucraino Center for Civil Liberties e il dissidente bielorusso Ales Bialiatski.
Perché Putin ha «liquidato» Memorial
Durante il prezioso incontro organizzato il 13 ottobre dal Dipartimento di scienze linguistiche e letterature straniere dell’Università Cattolica del Sacro cuore di Milano, Polivanova, in collegamento dalla Russia, ha ripercorso la storia di Memorial, nata per riportare alla luce le memorie nascoste e censurate dei crimini della dittatura sovietica e per ridare un volto alle centinaia di migliaia di persone inghiottite nei gulag. L’associazione, spiega, non si è inventata nulla ma «ha assecondato un movimento che si stava risvegliando nel popolo russo».
Purtroppo, «da quando Vladimir Putin è salito al potere», spiega Polivanova, «avere accesso ai documenti conservati negli archivi statali è diventato sempre più difficile. Nel 2006, sessantesimo anniversario della vittoria russa nella seconda guerra mondiale, Iosif Stalin è stato dipinto come il vero artefice di quella vittoria, come l’eroe che diede lustro alla Russia».
I suoi crimini, pertanto, andavano dimenticati mentre al contrario «Memorial studia il passato così che i diritti umani possano essere rispettati oggi».
Ma nella Russia di Putin non sembra esserci posto per una memoria che infanga la figura di Stalin e ricorda i crimini sovietici. Così il 28 dicembre 2021 Memorial è stata «liquidata» dalla Corte Suprema russa. «Putin ci ha liquidato per portare avanti il suo disegno imperialistico, ma noi andiamo avanti nel nostro lavoro».
La testimonianza del poeta Strocev
Proprio come Dmitrij Strocev, poeta dissidente bielorusso, scappato a marzo dal regime di Alexander Lukashenko e rifugiato a Berlino. Davanti agli studenti della Cattolica, prima di leggere cinque componimenti sulla guerra e le repressioni, scritti con lo stile del “reportage poetico”, ha ricordato come il ritorno dell’imperialismo russo fosse nell’aria ormai da 20 anni:
«Dobbiamo capire che la guerra in Georgia del 2008, l’annessione della Crimea e la separazione del Donbass del 2014, la repressione della società civile in Bielorussia del 2020 e poi questa guerra fanno parte di un unico progetto geopolitico: ricostituire l’impero russo secondo i confini dell’Unione Sovietica».
Il «paganesimo» della Chiesa ortodossa
Un progetto che la Chiesa ortodossa ha pericolosamente avallato, come spiegato da Marta Dell’Asta, ricercatrice di Russia Cristiana e direttore responsabile della rivista La Nuova Europa. «Nonostante ci siano state voci contrarie anche all’interno della Chiesa ortodossa, il patriarca Kirill è arrivato a definire “martiri”, sottolineando che i loro peccati sarebbero stati cancellati, i caduti russi in Ucraina. Se all’inizio si poteva parlare di filetismo, ormai il Patriarcato di Mosca rischia di scivolare nel paganesimo».
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