La battaglia politica di Trump dietro agli scontri sugli immigrati a Los Angeles

Di Piero Vietti
11 Giugno 2025
Marines e soldati in California per sedare le proteste seguite ai rimpatri forzati voluti dalla Casa Bianca. C’entrano la volontà degli elettori e l’attacco al governatore dem. Cercasi buonsenso
Los Angeles guardia nazionale migranti
Polizia e guardia nazionale schierate a Los Angeles per contenere le proteste dopo i rimpatri di migranti irregolari ordinati di Trump (foto Ansa)

Il piano di Donald Trump di arrestare ed espellere milioni di migranti illegali dagli Stati Uniti – uno dei motivi per cui è stato rieletto lo scorso novembre alla Casa Bianca – teneva ovviamente conto fin da subito del fatto che si sarebbero scatenate proteste nel Paese. Le immagini che arrivano dalla California, e in particolare da Los Angeles, ci mostrano auto in fiamme e scontri violenti da parte di chi si oppone al grande piano di rimpatri voluto dal presidente americano, che ha così avuto buon gioco a inviare prima i soldati della Guardia nazionale senza che questo venisse chiesto dal governatore della California, il democratico Gavin Newsom, e poi circa 700 marines incaricati di proteggere gli edifici e il personale federale. 

Descrivendo il caos delle ultime ore, con il coprifuoco indetto ieri dalla sindaca Karen Bass, il Wall Street Journal scrive che «secondo avvocati, sostenitori dell’immigrazione e funzionari delle precedenti amministrazioni, l’applicazione delle leggi sull’immigrazione da parte dell’amministrazione rappresenta una netta rottura con le precedenti pratiche governative. Gli agenti federali effettuano arresti senza mandato. Agenti mascherati prendono in custodia persone senza identificarsi. Agenti in borghese in almeno una dozzina di città hanno arrestato migranti che si sono presentati alle udienze in tribunale. E in tutti gli Stati Uniti, persone sospettate di essere nel paese illegalmente stanno scomparendo nel sistema di detenzione federale senza preavviso alle famiglie o agli avvocati, secondo avvocati, testimoni e funzionari».

Trump è determinato a proseguire, forte del mandato elettorale, ignorando quelli che, secondo un altro allarmato editoriale del Wall Street Journal, sono i «rischi per entrambe le parti in questa disputa, e soprattutto per il Paese se la situazione dovesse degenerare in violenza e innescare una risposta militare da parte della Casa Bianca».

Che cosa succede a Los Angeles

I fatti. La scorsa settimana l’Immigration and Customs Enforcement (Ice) ha effettuato raid in tutta la città alla ricerca di migranti, anche nelle aziende dove si ritiene che lavorino. Lavoratori, sindacalisti e attivisti pro-migranti sono scesi in piazza per protestare. Le proteste sono rapidamente evolute in scontri, e gli scontri sono diventati violenti, con agenti feriti e arresti da parte dell’Ice. Il presidente Trump ha quindi invocato una legge non utilizzata dal 1965 per aggirare i poteri di un singolo stato e ha inviato 2.000 soldati della Guardia Nazionale della California. Da qui l’indignazione dei Democratici e le accuse reciproche di avere violato la legge.

Le decisioni di Trump sui migranti irregolari

In materia di immigrazione Trump ha già preso decisioni importanti, a partire dalla chiusura delle frontiere ai migranti che utilizzano le richieste di asilo per entrare. Da quando è tornato alla Casa Bianca, gli attraversamenti illegali delle frontiere sono diminuiti drasticamente, e l’Ice ha anche arrestato membri di pericolose gang e altre persone accusate di reati negli Stati Uniti. Tutte cose per cui Trump gode di un grande sostegno pubblico.

Polizia Los Angeles
La polizia di Los Angeles arresta un manifestante (foto Ansa)

Il presidente però non si accontenta, e la Casa Bianca, guidata dal vice capo dello staff Stephen Miller, ha intenzione di espellere chiunque si trovi illegalmente negli Stati Uniti. Comprese, nota il quotidiano conservatore, «milioni di persone arrivate illegalmente ma che da allora hanno condotto una vita produttiva e rispettosa della legge. Hanno formato famiglie e accettato lavori che i datori di lavoro affermano di avere difficoltà a coprire, nell’edilizia, nell’ospitalità, nell’agricoltura, nella sanità e in molti altri settori». L’idea è quella di rimpatriare tutti per mandare il messaggio di non tornare più, «ma la perdita di contributi alla forza lavoro statunitense sarà enorme», prosegue il Wsj.

I disordini a Los Angeles e gli 11 milioni di irregolari negli Usa

E poi ci sono i disordini, come si vede in questi giorni in California. Disordini inevitabili quando si fa irruzione nei ristoranti per arrestare i camerieri, o nei grandi magazzini per portare via gli impiegati. L’uso brutale della forza da parte di alcuni agenti dell’Ice e le reazioni violente degli attivisti di sinistra pro migranti producono gli scontri che da giorni occupano le prime pagine dei giornali di tutto il mondo.

Come scrive Madeleine Rowley su The Free Press, «l’idea che sia possibile rimpatriare un milione di persone in questo modo è incredibile. Anche se il governo potesse continuare ad arrestare 2.300 persone al giorno, ci vorrebbero 465 giorni per arrivare a un milione di rimpatri». E gli immigrati illegali negli Stati Uniti attualmente sono circa undici milioni. «La domanda più importante è: ne vale la pena? Dei circa 1,8 milioni di immigrati clandestini che vivono in un posto come la California, quanti di loro fanno parte di gang? E quanti pagano le tasse e contribuiscono all’economia?».

Lo scontro politico dietro agli scontri di Los Angeles

Donald Trump può legittimamente affermare di avere un mandato per fare un rimpatrio di massa e di avere ampia autorità legale per farlo. Il governatore della California, Gavin Newsom, lo accusa di avere creato questa crisi ad hoc per arrivare allo scontro con lui (Trump ha anche detto che potrebbe far arrestare Newsom). E mentre si discute sulla legittimità della decisione di Washington di inviare la Guardia Nazionale e si attende di capire se il presidente invocherà l’Insurrection Act, una legge che permette alla Casa Bianca di avere poteri di intervento molto ampi (come fece George H.W. Bush per sedare le rivolte di Los Angeles del 1992), emerge chiaramente lo scontro politico dietro alla vicenda californiana.

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Come ha scritto Mattia Ferraresi su Domani, «la California è il modello democratico per eccellenza che già da molti anni si è trasformato nel suo opposto, passando da luogo del proverbiale sogno a incubo fatto di disuguaglianze, violenza, povertà, disordine sociale e fuga di imprese e capitali». Non solo, «la California è naturalmente anche l’avanguardia del progressismo woke, che in fondo è l’unico collante che tiene insieme un mondo Maga diviso in diversi correnti altrimenti inconciliabili, come dimostra la fragorosa rottura fra Trump e Elon Musk. Per la Casa Bianca è importante riaffermare che l’establishment democratico che guida da sempre lo stato è il titolare di una gestione fallimentare che in questa fase si manifesta nella forma dei “riot”, la rivolta di strada che è una figura tipica della vita californiana».

Le colpe di Biden e gli eccessi di Trump

«Questa è la tragedia della politica sull’immigrazione americana nel 2025», conclude amaro il Wall Street Journal. «La politica di apertura delle frontiere, di fatto, dell’amministrazione Biden ha creato caos e costi che hanno peggiorato il dibattito sull’immigrazione. La sicurezza delle frontiere è stata una delle questioni più gettonate per Trump nel 2024. Ciò significa che ha un margine di manovra per risolvere il problema. Potrebbe esagerare, come spesso accade, ma i Democratici dovrebbero guardarsi allo specchio per avergli concesso l’apertura politica».

È concretamente impossibile, oltre che economicamente e socialmente pericoloso, rimpatriare undici milioni di irregolari, ma per Trump riuscire a sedare le rivolte californiane e continuare a dire che sta risolvendo il problema dell’immigrazione che i Democratici si sono lasciati sfuggire ha un valore politico enorme.

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