«Mica viviamo tra leoni e capanne». Africani contro Beyoncé

Di Caterina Giojelli
11 Luglio 2020
Beyoncé presenta il trailer del suo film sull'Africa e viene accusata dagli africani di appropriazione culturale indebita. Come fai, sbagli

«In Africa c’è molto più dei leoni», «non ci svegliamo col gesso bianco in faccia», «mica viviamo in capanne di fango blu». Neanche la consegna del premio umanitario ai Bet Awards del 2020 (dedicati agli afroamericani che si sono distinti in ambito artistico) e il panegirico introduttivo di Michelle Obama («il suo impegno per la comunità nera, potete vederlo in tutto ciò che fa, dalla sua musica che dà voce alla nostra gioia e al nostro dolore, al suo attivismo»), ha preservato Beyoncé dall’accusa più infamante: appropriazione culturale indebita e diffusione di stereotipi sugli africani.

«VOTATE COME SE LA VITA DIPENDESSE DAL VOTO»

In pieno melodramma da igiene delle eredità è finita alla sbarra anche lei, la neopapessa nera che in occasione della Giornata dell’Emancipazione (Juneteenth), mentre infuriavano le rivolte innescate dalla morte di George Floyd, ha pubblicato Black Parade, un brano scritto con il marito Jay Z, che dice cose come «sparate pure sulla gente i vostri missili, io vi manderò i miei sicari», «ridatemi la mia energia. Melanina, melanina, madreterra, madreterra», «l’essere neri, questo il motivo che li rende sempre come pazzi furiosi, l’essergli superiori, lo so che è questa la ragione che li rende pazzi, e sempre li ha resi tali». Lei, che ritirando l’Humanitarian Award ha ringraziato chiunque sostiene Black Lives Matter spronando gli spettatori ad andare al voto: «Ci sono persone che sperano che resteremo a casa durante le elezioni locali e le primarie negli stati di tutto il Paese. Dobbiamo votare come la nostra vita dipendesse da questo, perché è così. Per favore, continuate a essere il cambiamento che volete vedere nel mondo».

«ESSERE NERI È ATTIVISMO»

Lei, che ha appena annunciato, attraverso la sua fondazione benefica BeyGOOD, l’istituzione di un fondo per aiutare le piccole imprese dei neri a sopravvivere alla crisi e che ha appena lanciato Black Parade Route (una sezione completa del suo sito dedicata alla promozione di marchi di proprietà di neri corredata da slogan quali «essere neri è attivismo. L’eccellenza nera è una forma di protesta. La gioia dei neri è un diritto»). Insomma: Beyoncé, queen B, l’artista col pedigree che più impegnato non si può, ne ha fatta una imperdonabile: Black Is King, il visual album che sarà presentato in anteprima su Disney+ il 31 luglio.

DAL RE LEONE AGLI ANTENATI

«Black Is King è frutto dell’amore. È il mio progetto del cuore che ho filmato, ricercato e montato giorno e notte l’anno scorso. Ce l’ho messa tutta e ora è vostro. All’inizio era stato pensato come un pezzo della colonna sonora di The Lion King: The Gift e intendeva celebrare l’importanza e la bellezza dei nostri antenati neri», ha scritto la cantante (che ha prestato la voce al personaggio di Nalah nel remake del Re Leone) presentando il trailer sul suo profilo Instagram. «Non avrei mai immaginato che un anno dopo, tutto il duro lavoro svolto in questa produzione avrebbe avuto uno scopo più grande», «ho trascorso molto tempo esplorando e assorbendo le lezioni delle generazioni passate e la storia delle diverse usanze africane», «è stato importante creare un qualcosa che instilla orgoglio e conoscenza. Spero solo che, dopo la visione, sentiate l’esigenza di continuare a costruire un’eredità che cambi il mondo. Prego che tutti vedano la bellezza e la resilienza della nostra gente».

SAVANA, SCIAMANI, PIUME, CAPANNE

Peccato che la “nostra gente”, molti universitari, cineasti, giovani africani impegnati ad aggiornare la narrazione occidentale sul continente nero, in quel trailer di settanta secondi tutto savana, sciamani, piume, danze tribali e vestiti animalier non abbia visto nulla di bello, anzi. «C’è questa barzelletta costante sugli africani che si svegliano e vedono gli animali correre attorno», «questa narrazione sta diventando noiosa», «non ci dipingiamo la faccia col gesso né viviamo in capanne blu», «L’Africa non è fatta di capanne di paglia con un’unica cultura», «il continente ha 54 paesi e innumerevoli culture», «nel video c’è solo cultura Yoruba», «questa è Lagos, Beyoncé», le risponde qualcuno postando i grattacieli nigeriani, «stai usando gli africani», «ci vuole più che la pelle scura per dirsi una di noi, e comunque ti fai sempre bionda», «l’Africa è cresciuta, ma perché non ci vieni?».

B. NON USA L’AFRICA, NON CI CAVA UN DOLLARO

La polemica non è sfuggita al Washington Post capofila di un’élite culturale capace di paradossali spedizioni colonialiste ogni volta che ci sia da medicare con il senso di colpa per le malattie del passato quelle del presente. E che ha provveduto a diffondere urbi et orbi la polemica degli africani contro la star afroamericana sottolineando che gli ultimi tre tour di Beyoncé in Europa, Australia e Sud America non hanno toccato l’Africa, che l’ultimo concerto è stato a Johannesburg, nel 2018, per beneficenza. Disney+, inoltre, non è disponibile in nessun paese africano. A confondere ancora di più acque in cui come nuoti sbagli e alla fine non si salva più nessuno, ci ha pensato la madre della cantante, la mitica Tina Knowles-Lawson: «Chi critica il film (prima ancora di vederlo) dicendo che non è autentico, sconvolto dal fatto che B. non vada in Africa o chi affermi che Bey sta semplicemente usando le culture africane per fare soldi, si sbaglia di grosso: i suoi contenuti “afrocentrici” sono quelli che la fanno guadagnare meno». Da brava mamma sottolinea inoltre che la sua B. «si è presa del tempo per studiare costumi africani e simili» e che lavora costantemente con «ballerini, registi e musicisti africani». Quanto al vedere con i suoi occhi il continente nero, «preferireste che lei venisse due volte l’anno in qualche stadio africano e poi più nulla, o che aiutasse a diffondere la nostra cultura nel mondo?».

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