Grave errore assegnare l’Ambrogino d’oro a Marco Cappato
Dopo l’ennesima autodenuncia Marco Cappato, tesoriere dell’associazione Luca Coscioni, è nuovamente indagato per aiuto al suicidio. Nei giorni scorsi ha accompagnato a morire in Svizzera l’82enne Romano, affetto da Parkinsonismo atipico. Cappato è già indagato per lo stesso reato da questa estate, quando ha accompagnato anche Elena, 69enne malata terminale di cancro, a morire nella clinica Dignitas di Zurigo
Sono stato contrario all’assegnazione della civica benemerenza a Marco Cappato e oggi rinnovo la mia contrarietà ancora più convinto. Troverò nei prossimi giorni il modo deciso di esprimerlo pubblicamente.
Politicamente considero Marco un avversario serio, impegnativo e mai banale, con il quale il confronto è sempre stato corretto e sul merito dei temi che ci hanno visti contrapposti. Un avversario che costringe sempre ad approfondire le proprie posizioni e a non accontentarsi di slogan. Tuttavia ritengo un grave errore quello del Comune di Milano.
Un errore di metodo e di merito
Lo ritengo un errore di metodo e di merito. Di metodo, perché non si possono premiare persone impegnate in politica a motivo delle proprie battaglie politiche. Su quelle ci si confronta nelle urne e nei dibattiti delle aule democratiche. Di merito, perché reputo la battaglia di Cappato una forzatura che mira ad introdurre per via giudiziaria ciò che solo il legislatore, nella sua sovranità e libertà, può riconoscere in forza di una legittimazione elettorale o non riconoscere in virtù di una sanzione rispetto a certe posizioni politiche che comunque arriva sempre dal corpo elettorale.
Marco Cappato, fuori dall’agone elettorale da tempo, mira proprio a giudiziarizzare le contese sui diritti, aggirando la strada maestra del libero dibattito democratico dei rappresentanti dei cittadini. E tutto ciò in aperta violazione della normativa vigente, come ricordato dalla stessa Corte costituzionale, allorquando ha respinto il referendum sull’eutanasia che pure l’Associazione Coscioni aveva sostenuto.
Cappato aggira democrazia, legge e sentenza della Consulta
La sentenza 55/2022, premesso essere «il bene della vita umana connotato dall’indisponibilità da parte del suo titolare», ha precisato che qualora si tenesse un referendum con esito favorevole all’eutanasia, «la norma verrebbe a sancire, all’inverso di quanto attualmente avviene, la piena disponibilità della vita da parte di chiunque sia in grado di prestare un valido consenso alla propria morte, senza alcun riferimento limitativo», con la conseguenza che «l’effetto di liceizzazione (…) non risulterebbe affatto circoscritto alla causazione, con il suo consenso, della morte di una persona affetta da malattie gravi e irreversibili (…). Né può tacersi che tra le ipotesi di liceità rientrerebbe anche il caso del consenso prestato per errore spontaneo e non indotto da suggestione».
La conclusione è che «quando viene in rilievo il bene della vita umana, dunque, la libertà di autodeterminazione non può mai prevalere incondizionatamente sulle ragioni di tutela del medesimo bene, risultando, al contrario, sempre costituzionalmente necessario un bilanciamento che assicuri una sua tutela minima».
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