L’improvvisa debolezza di Mario Draghi
A dicembre Mario Draghi sembrava il padrone assoluto della politica italiana. Oggi appare soltanto un tecnico prestato alla politica che vive un momento di difficoltà e debolezza. Il governo è sull’orlo di una crisi di nervi per le difficoltà nel trovare un accordo tra i partiti della maggioranza. In questa settimana l’esecutivo è andato sotto per quattro volte in Aula, ma al di là delle prove parlamentari è sufficiente leggere dichiarazioni e intenti di leader politici e peones per capire che il filo rosso di Draghi con i partiti si è spezzato.
I partiti sentono il richiamo elettorale
Prima la scalata fallita al Quirinale, le burrascose trattative con maggioranza e partiti scomposti e riottosi, poi il ruggito del Parlamento profondo per mantenere lo status quo, infine la rielezione di Sergio Mattarella. In nome del mantenimento della stabilità si è reso Draghi più precario e debole. E forse si sta anche mettendo una seria ipoteca sul suo futuro nella politica italiana. Si sta consumando un “assassinio politico” da parte dei partiti, che sentono il richiamo elettorale e sono consumati dagli attriti, ai danni del Presidente del Consiglio.
Draghi è stato costretto a riparare da Mattarella, con un colloquio chiarificatore sulle sorti della maggioranza con l’intento di mettere pressione ai partiti. Altro brutto segnale: correre dal Presidente della Repubblica al minimo accenno di crisi politica è un segno di debolezza. Mattarella è l’unico che può tentare di tenere in piedi la legislatura perché senza una forte tutela del Quirinale anche un uomo di potere ed esperienza come Draghi è in balia delle onde. Il premier è apparso innervosito e forse troppo sprezzante nei confronti dei partiti nelle ultime settimane quanto appariva fiducioso e probabilmente troppo sicuro del suo futuro un paio di mesi fa.
Le dimissioni, minaccia poco efficace
Il Presidente del Consiglio oggi minaccia dimissioni con il rischio di ipotetiche elezioni anticipate, ma si è visto che i parlamentari sarebbero disposti a tutto pur di non votare prima dell’autunno, incluso andare avanti senza Draghi. La minaccia, dunque, è meno efficace di un tempo. Nel frattempo, se si guarda il calendario parlamentare, non c’è grande conforto per Palazzo Chigi. Entro maggio ci sono gli obiettivi del PNRR da centrare con decreti e stanziamenti, poi c’è la legge sulla concorrenza, la riforma del catasto, la riforma fiscale e quella della giustizia. Su questi dossier parlamentari la maggioranza è divisa e può essere ricomposta, forse, soltanto con compromessi al ribasso. L’azione riformatrice del governo è molto appesantita.
Le opzioni di Draghi
Quali sono le opzioni di Draghi? La prima è tirare diritto con il suo programma, senza accettare compromessi con i partiti, o meglio stabilendo lui la linea da non oltrepassare. È l’idea più rischiosa: o i partiti votano le riforme obtorto collo oppure tutto sfuma. Uno scenario che naturalmente può far collassare la maggioranza, mettere a repentaglio la legislatura, attivare un gioco di reciproco scaricabarile tra governo e Parlamento e allontanare Draghi dal futuro della vita politica italiana. A che prezzo? C’è l’occhio vigile di Bruxelles che vuole rassicurazioni e ci sono mercati finanziari sempre più tempestosi.
La seconda opzione è governare con il compromesso (e sopportare molto), che significa rinunciare a fare riforme particolarmente incisive e avviare faticose mediazioni che possono portare a leggi votate da maggioranza intercambiabili. Gran parte del lavoro di attuazione del PNRR viene scaricato sui ministeri e sull’amministrazione pubblica, mentre tutti i provvedimenti sensibili vengono smussati sino quasi all’irrilevanza.
Draghi porta a termine la legislatura, mantiene un discreto rapporto con i partiti e può sperare di essere ripescato dopo le elezioni come Presidente del Consiglio, come Commissario europeo o come Presidente della Repubblica qualora Mattarella decidesse di non concludere il settennato. In questo scenario, tutto ciò che non funziona, o semplicemente non alimenta consensi, verrà accollato a Draghi dai partiti entrati in campagna elettorale.
Il Mattarella-bis ha macerato il Draghi I
La terza e ultima opzione, più complessa da realizzare, è tentare un nuovo patto di programma tra le forze di maggioranza con una iniziativa di Draghi sostenuta apertamente anche dal Presidente della Repubblica. Un processo che definisca obiettivi minimi da condividere e su cui non incontrare sorprese in aula. Forse si sarebbe dovuto fare subito dopo la rielezione di Mattarella, ma non è detto che avrebbe portato a qualche risultato. Anche perché l’impressione è che i vertici dei partiti fatichino oramai a controllare i propri gruppi parlamentari. La palude è tornata e nemmeno la tecnocrazia potrà ritrarsi dalle secche nell’anno pre-elettorale. Comunque vada nei prossimi mesi è evidente che il Mattarella-bis ha macerato il governo Draghi I.
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