Malaysia, sentenza storica: convertito da piccolo all’islam, può tornare cristiano

Di Benedetta Frigerio
04 Aprile 2016
Secondo il giudice dell'Alta corte, Rooney Rebit è «libero di esercitare il suo diritto di libertà religiosa e di scegliere il cristianesimo»

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Non era mai successo prima che una corte in Malaysia riconoscesse in modo teorico e pratico il diritto alla libertà religiosa. Invece, lo scorso 24 marzo, l’Alta corte dello Stato del Sarawak ha emesso un verdetto storico accogliendo il ricorso di Rooney Rebit, che chiedeva il riconoscimento ufficiale della sua conversione al cristianesimo avvenuto nel 1999, all’età di 24 anni, dopo che a 8 era stato convertito dai genitori all’islam.

[pubblicita_articolo allineam=”destra”]IL PRECEDENTE. Il problema è legato alla fede dei minorenni all’interno dei matrimoni misti. Secondo la prassi, i figli devono sempre essere registrati come musulmani senza possibilità di ripensamenti successivi. Lo dimostra ad esempio il caso di Lina Joy: nel 2007 l’Alta corte ha detto alla musulmana convertita al cristianesimo all’età di 26 anni che non poteva essere legalmente riconosciuta come cristiana (ad esempio sulla carta di identità). Il tribunale aveva aggiunto di non avere potere giurisdizionale su questioni legate al credo. I cristiani in Malaysia sono appena il 9 per cento della popolazione, su 30 milioni di abitanti, e subiscono continue discriminazioni legate ai sequestri dei testi sacri come la Bibbia e alla profanazione delle chiese.

DIRITTO UMANO. Contrariamente alle aspettative, il 24 marzo il giudice supremo Yew Ken Jie ha spiegato che Rebit era «libero di esercitare il suo diritto di libertà religiosa e di scegliere il cristianesimo». L’uomo, nato nel 1975 in una famiglia cristiana, era stato registrato come musulmano sotto il nome di Azmi Mohamad Azam Shad quando aveva 8 anni, dopo che i suoi genitori si erano convertiti all’islam. Nel 1999 aveva poi deciso di tornare cristiano, ma anziché contestare la conversione stabilita dai genitori quando era bambino, ha chiesto che fosse riconosciuta la sua decisione successiva appellandosi al suo diritto umano fondamentale di credere in Gesù.

LA SENTENZA. Senza entrare in merito alla conversione dei bambini, il giudice, oltre a non rimandare il giudizio a una corte islamica, alla quale spetta la giurisdizione in materia di religione, ha sottolineato che la Costituzione malesiana all’articolo 11 garantisce la libertà religiosa. Rebit, ha spiegato, «non sta contestando la validità della conversione come minorenne, ma quella di esercitare la sua libertà religiosa e di scegliere il cristianesimo dopo essere diventato maggiorenne». Inoltre, siccome il Dipartimento nazionale per le registrazioni si era rifiutato di cambiare il nome e la fede di Rebit sui documenti, Jie ha aggiunto che così si è «agito ingiustamente nei confronti della richiesta, insistendo sulla necessità di una lettera di permesso da parte della corte islamica».

«DIRITTO ALLA LIBERTÀ RELIGIOSA». L’avvocato di Rebit, Chua Kuan Ching, ha parlato di una sentenza senza precedenti, dato che «nei precedenti casi di conversione che coinvolgono i minori i tribunali si sono fermati prima di stabilire cosa debba accadere dopo che il bambino ha raggiunto l’età adulta. Questa è quindi una decisione nuova, in cui il giudice ha deciso che secondo la costituzione l’uomo ha diritto alla libertà religiosa». Entusiasta per il passo in avanti, l’Associazione delle Chiese in Sarawak ha rivolto un appello al governo federale: «Chiediamo che onori e renda effettiva la garanzia della libertà religiosa». Se prima del verdetto diversi gruppi islamici hanno minacciato ritorsioni, l’organizzazione femminile “Sorelle nell’Islam” ha dato un giudizio positivo sulla sentenza, sottolineando che «la fede non può essere imposta con la forza. Anzi, la fede è subordinata al libero arbitrio».

@frigeriobenedet

Foto Ansa

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