
Lula è libero ma i problemi dei socialisti in Brasile non sono finiti

Tutte le condanne a carico di Luiz Inácio Lula da Silva dovranno essere rivalutate dopo che lunedì una sentenza di un giudice della Corte Suprema brasiliana ha ravvisato problemi di giurisdizione. La condanna a 12 anni e un mese di carcere, inflitta in secondo grado all’ex presidente e star del Partito dei lavoratori del Brasile (Pt) per corruzione e riciclaggio, è stata annullata e ora il processo nato dalla storica inchiesta Lava Jato, terminata a febbraio a causa dei metodi controversi e in parte illegali con i quali è stata condotta, dovrà ripartire da capo. Non più presso la corte federale di Curitiba, ma presso la corte federale del Distretto Federale, la più piccola unità federale del paese.
Lula non è stato assolto
Lula, che si trovava ai domiciliari dal novembre 2019, e i socialisti hanno esultato pregustando già la candidatura alle presidenziali del prossimo anno del loro leader storico e sventolando i primi sondaggi che danno il 75enne quasi alla pari con Jair Bolsonaro. La decisione del giudice federale Luiz Edson Fachin contiene però elementi che non possono lasciare tranquilli Lula e il Pt.
Se, come probabile, il governo di Bolsonaro farà ricorso avverso alla sentenza della Corte Suprema, questa dovrà avallare la decisione di Fachin in sessione plenaria. Il risultato non è scontato, ma anche se fosse confermato l’ordine di far ripartire tutto da zero, Lula dovrà comunque essere processato da un altro tribunale per le stesse accuse legate allo scandalo Lava Jato, che ha svelato come il Pt abbia intascato in mazzette circa 2,5 miliardi di euro. L’inchiesta ha coinvolto decine di membri del partito e funzionari pubblici e ha portato alla condanna di 174 di loro.
Il nodo Moro
Come dichiarato da Ciro Gomes, vicepresidente del Pt, «non si può dire che tutte le accuse contro Lula sono cadute. Lula dovrà ancora rispondere davanti ai giudici. Solo è cambiato il luogo dove dovrà rispondere. Potrebbe essere condannato di nuovo».
Se l’intera inchiesta è stata macchiata dai messaggi, pubblicati dall’Intercept Brasil, nei quali l’ex giudice federale Sergio Moro, che condannò Lula in primo grado, indicava ai procuratori come procedere per incriminare l’ex presidente, il giudice che ha rinvenuto il problema di giurisdizione nel caso di Lula, non lo ha fatto accusando Moro di essere fazioso, il che avrebbe permesso a tutti gli altri condannati nell’inchiesta di presentare ricorso. In questo modo, pur avendo fatto tirare a Lula un bel sospiro di sollievo, ha lasciato in piedi il castello di accuse e condanne contro il sistema corruttivo costruito per 15 anni dal Pt.
Le colpe del Pt restano
Mauricio Santoro, professore di Scienze politiche all’Università di Rio de Janeiro, ha dichiarato all’Associated Press: «La popolarità di Lula negli ultimi mesi è risalita a causa della pessima gestione della pandemia da parte di Bolsonaro. Di sicuro l’umore politico del paese è più favorevole a Lula rispetto a tre anni fa. Ma credo che questo movimento non possa arrivare più in là di tanto».
Se Bolsonaro nel 2018 ha vinto ottenendo il 55,2 per cento dei voti è perché, come spiegava a tempi.it il giornalista Carlo Cauti, «la gente non ne può più del Partito dei lavoratori», che ha governato il Brasile ininterrottamente dal 2003 al 2016. Tanta insofferenza è dovuta a due motivi: il primo è il modo in cui il Pt per 15 anni, come spiegato a Tempi da uno dei principali giornalisti politici del Brasile, Reinaldo Azevedo,
«ha cercato di fare dello Stato uno strumento per il rafforzamento del partito. Il partito di Lula ha trasformato lo Stato brasiliano in una proprietà del partito. L’amministrazione federale dispone di circa 25 mila incarichi di fiducia di libera nomina senza concorso pubblico. Questo è assurdo. Poi ci sono migliaia di posti nelle aziende statali e nelle fondazioni pubbliche. Così si raggiunge la cifra favolosa di 100.313 incarichi (dati relativi al 2015), cioè il 16 per cento dei 618.466 funzionari pubblici. Queste persone sono state scelte tra i militanti del partito. Questo significa che una volta al potere il Pt non si occupa degli interessi dei brasiliani, ma degli iscritti al partito. Il Pt ha assaltato la macchina pubblica con i suoi militanti e intascava dai privati una tassa in cambio del permesso di fare affari con il settore pubblico e le aziende statali. Il partito è diventato una specie di mafia».
Due candidati in crisi
Il secondo motivo è la spaventosa crisi economica causata dalle politiche scellerate di Lula, il quale «ha promosso una politica assistenzialista aggressiva che ha reso milioni di poveri prigionieri di pochi benefici, che per chi non ha niente sono pur sempre qualcosa».
Nonostante il processo contro Lula debba ricominciare, i problemi storici legati al modo in cui ha gestito il potere insieme al Pt restano. Sono questi, insieme all’onda lunga dello scandalo di corruzione, ad aver permesso a un presidente controverso come Bolsonaro di vincere. Se oggi il consenso nei confronti del presidente è calato, e secondo un sondaggio Ipec il 56 per cento «non voterà mai» per lui, la stessa rivelazione certifica che il 45 per cento degli elettori «non voterà mai per Lula».
Foto “Mais de 10 mil pessoas protestaram pela liberdade de Lula em Curitiba neste domingo (7). Foto: Ricardo Stuckert” by Brasil de Fato
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