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«Bolsonaro ha vinto perché il Brasile non ne può più del Pt di Lula»

«Bolsonaro non è razzista e omofobo. La gente l'ha votato per risolvere la crisi economica e l'emergenza sicurezza, causate dal disastro socialista. Battisti sarà estradato». Intervista al corrispondente Carlo Cauti (agenzia Nova)

Leone Grotti
30/10/2018 - 3:00
Esteri
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Il nuovo presidente della Repubblica, Jair Bolsonaro

«Nessuno pensava che Jair Bolsonaro potesse vincere e diventare presidente della Repubblica del Brasile». E invece domenica, al secondo turno delle elezioni, l’esponente del piccolo Partito social-liberale ha ottenuto il 55,2 per cento dei voti, superando il candidato del Partito dei lavoratori (Pt), sostenuto dall’ex presidente e leader Lula, Fernando Haddad. Tutti i giornali definiscono Bolsonaro come un nostalgico della dittatura, un uomo razzista, omofobo, intollerante e pericoloso. Carlo Cauti, corrispondente dal Brasile dell’agenzia Nova e Rmc, collaboratore di Limes e del settimanale di San Paolo, Veja, spiega a tempi.it perché i brasiliani l’hanno votato in massa: «Il suo trionfo è la dimostrazione che la gente non ne può più del Partito dei lavoratori».

Bolsonaro è davvero pericoloso come lo descrivono?
Stiamo parlando di un ex militare, conservatore, dotato di un linguaggio rude e molto convinto dei valori che rappresenta. Ha fatto sempre politica sulla base di opinioni molto polemiche e si è sempre scagliato contro il politicamente corretto. Nonostante questo, credo che venga dipinto in modo molto superficiale.

Perché?
Nel 2017 ho avuto modo di intervistarlo e l’ho incontrato personalmente. Non era ancora iniziata la campagna elettorale, era ancora un comune deputato federale. Devo dire che non mi è parso né omofobo, né razzista, né tantomeno violento.

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Come si è guadagnato allora la fama di nemico degli omosessuali?
Bolsonaro ha fatto politica per 20 anni senza mai farsi notare. Nel 2011 ha condotto con successo una battaglia contro il cosiddetto “Kit Gay”, che il governo del Pt voleva distribuire in tutte le scuole elementari pubbliche. L’obiettivo del kit era la lotta all’omofobia ma Bolsonaro dimostrò che conteneva libretti e informazioni francamente indifendibili. Il governo fu costretto a ritirare la proposta e lui conquistò una discreta fama.

E per quanto riguarda l’accusa di razzismo?
Bolsonaro è un provocatore e fa spesso dichiarazioni sopra le righe. Molte sono oggettivamente infelici. Ma anche la stampa internazionale ha calcato troppo la mano. Oggi Bolsonaro è sposato con una donna di origini africane. È complicato sostenere che sia razzista.

Vuole riportare il Brasile ai tempi della dittatura?
Assolutamente no. Chi scrive questa cosa, però, lo fa sulla base di una frase pronunciata realmente da Bolsonaro. Nel 2016, quando il Congresso stava approvando l’impeachment del presidente Dilma Rousseff, lui votò “sì” e “dedicò” il voto al colonnello Carlos Alberto Brilhante Ustra, un militare che per conto del regime militare gestiva un centro di torture dove la stessa Rousseff fu torturata. Quelle parole sono state un grave errore e lui lo ha riconosciuto, scusandosi in televisione.

Però vuole liberalizzare il possesso di armi e abbassare l’età penale a 16 anni. Non sono proposte “violente”?
In questo caso bisogna comprendere la realtà il Brasile. Solo l’anno scorso sono state assassinate 63 mila persone. Il Pt non ha mai usato il pugno duro contro la violenza urbana, vedendo in essa una sorta di revanscismo delle classi più svantaggiate. Il tema delle armi per proteggersi è molto sentito dai brasiliani. Bolsonaro ha anche promesso di aumentare le pene per chi occupa terreni in modo illegale.

E l’abbassamento dell’età penale?
Il codice penale brasiliano prevede che sotto i 18 anni, nessuno, a prescindere dal reato commesso, possa scontare più di tre anni di riformatorio. Una volta scontati, inoltre, la fedina penale risulta intonsa e immacolata. La conseguenza è che i narcotrafficanti usano i minori per compiere gli omicidi più efferati. L’opinione pubblica considera questo punto come uno dei più importanti per riportare ordine e giustizia.

Se il partito di Bolsonaro è piccolo e poco conosciuto, come ha fatto a vincere?
Dal punto di vista della strategia ha puntato tutto sui social network. Per la sua campagna elettorale ha speso appena un milione di reais (240 mila euro), mentre ad esempio nel 2014 la candidata del Pt, Dilma Roussef, aveva speso 1,5 miliardi di reais. Senza soldi, senza il sostegno dei giornali, senza avere diritto a spazi televisivi, visto che in base alla legge locale sulla par condicio aveva a disposizione in media otto secondi contro i 4,5 minuti del Pt, e senza grandi finanziatori privati è riuscito comunque a vincere con i social network, scagliandosi contro la corruzione e la violenza urbana.

Sono bastati i social network per interrompere dopo 15 anni il dominio ininterrotto del Pt di Lula e dei suoi candidati?
È proprio questo che bisogna capire. La vittoria di Bolsonaro è la sconfitta del Pt su tutta la linea. La maggioranza dei brasiliani non ne può più delle politiche socialiste. Il Brasile sta attraversando la peggior crisi economica della sua storia, peggio di quella del ’29. La disoccupazione è al 13 per cento, il Pil è crollato, il reddito pro capite è diminuito del 40 per cento. La produzione industriale è un disastro. Ma il punto non è solo l’economia.

Che altro?
La gente è stufa di vedere che il proprio paese appoggia regimi come Venezuela, Cuba e Nicaragua, dove avvengono massacri quotidiani. E poi c’è la corruzione.

Si riferisce allo scandalo Lava Jato, secondo cui il Pt avrebbe intascato in mazzette 2,5 miliardi di euro? Secondo il giornalista brasiliano, Reinaldo Azevedo, l’inchiesta ha rivelato che «il Pt ha usato per 15 anni lo Stato per rafforzare il partito».
Esatto. Stiamo parlando del più grave caso di corruzione della storia del mondo. L’inchiesta va avanti da quattro anni e mezzo, coinvolge oltre al Pt la compagnia energetica di bandiera Petrobras e ha lasciato strascichi nell’elettorato. La corruzione aveva raggiunto livelli impensabili. Solo un esempio: si è scoperto che il più infimo dirigente della Petrobras aveva un conto in Svizzera con 100 milioni di dollari. Immaginiamoci gli altri.

Il candidato del Pt, Haddad, ha comunque preso il 45 per cento dei voti.
Sì, ma li ha presi quasi tutti negli Stati del nord-est, che è la roccaforte elettorale socialista. Se in quei territori tutti votano Pt è perché le famiglie ricevono sussidi elevatissimi, che si potrebbero definire tranquillamente “acquisto di voti”. Il Pt ha resistito solo per questo zoccolo duro, altrimenti sarebbe stato spazzato via. E credo che le prossime tornate elettorali faranno registrare un ulteriore peggioramento nel consenso al Pt.

Quanto ha influito nel risultato del Pt la vicenda Lula?
Il leader storico dei socialisti è agli arresti per corruzione e riciclaggio. È stato condannato a 12 anni e un mese di prigione. La sentenza è stato uno shock per i brasiliani, perché è la prima volta che un ex presidente della Repubblica viene arrestato. Il suo arresto ha mostrato che la corruzione del Pt è arrivata ai massimi livelli e il partito ha accusato il danno d’immagine.

Lula non gode più dell’appoggio di una grande fetta del popolo brasiliano?
È ancora molto popolare, però lui è il deus ex machina del Pt, un grande accentratore. È lui che ha deciso tutta la campagna elettorale del Pt e lo ha fatto dal carcere. Ogni settimana Haddad andava in carcere per prendere ordini da Lula e questo non è piaciuto ai brasiliani. La gente si è rivoltata contro l’inconsistenza di Haddad.

Quali saranno le prime mosse di Bolsonaro da presidente?
Prima di tutto una riforma fiscale per abbattere il deficit elevatissimo del paese, tagliare la spesa pubblica, riformare la previdenza e ridurre il peso dello Stato nell’economia, lasciando più spazio ai privati. Poi, come detto prima, interventi sulla sicurezza e abbandono “politico” dei regimi bolivariani. Bolsonaro dovrebbe riavvicinare il Brasile a Stati Uniti e Unione Europea.

Cesare Battisti verrà finalmente estradato?
Senza dubbio.

@LeoneGrotti

Foto Ansa

Tags: brasilecesare battistiElezionijair bolsonarolula
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