«Quest’anno dovremo ospitare 13mila alunni in più in Lombardia con le stesse classi e gli stessi docenti dello scorso anno. Rischiamo di avere tantissimi alunni per classe. E presidi a mezzo servizio». A tempi.it Giuseppe Colosio, direttore dell’Ufficio scolastico regionale della Lombardia, non nasconde la sua preoccupazione. Respinta la richiesta di sospensione della sentenza del Tar che annullava il concorso per dirigenti scolastici a causa della presunta “trasparenza” di buste atte a garantire l’anonimato dei candidati, la scuola lombarda rischia di viaggiare a una velocità dimezzata rispetto al resto d’Italia, con dirigenti scolastici divisi tra più sedi in luoghi anche molto distanti. Domani, alle 11.30, l’Usr ospiterà una conferenza stampa che chiarificherà la condizione scolastica regionale.
Colosio, quali sono gli esiti della sentenza del Tar?
Sta producendo una situazione molto grave nel controllo delle istituzioni scolastiche. A fronte di un calo quantitativo dei dirigenti scolastici, ne risente la qualità della formazione. Oltre mille scuole in Lombardia avranno un preside a mezzo servizio, senza la possibilità di nominare vicari, per mancanza di fondi. Una carenza che non consente neppure di dare un mezzo di trasporto a quei presidi che dovranno muoversi da una scuola all’altra. Tuttavia, abbiamo avuto molti presidi disponibili a questo sacrificio, ed è bello vedere persone che si fanno carico di una situazione difficilmente sostenibile.
È necessario avere un preside per ogni istituto?
Sì, è importante che ogni scuola abbia il proprio preside. Quando si verificano emergenze, al momento della valutazione degli alunni, nel controllo di bilancio delle attività, quando è necessario incontrare i genitori… Il preside deve esserci. In questa condizione, invece, i dirigenti avranno tempi dimezzati per il doppio degli atti da controllare.
Che opinione ha della sentenza?
È sicuramente un grande dispiacere, perché il concorso era serio, regolare e trasparente. Ciò che rammarica è notare che nessuno ha accertato che si siano verificate le condizioni esibite dalla denuncia, altrimenti si sarebbe scoperto che esse non erano presenti. Adesso, la situazione è critica e il danno rilevante. In concreto, ripeto, non c’è stata alcuna violazione dell’anonimato, perché quando una persona compra una busta, lo fa per impedire la visione di quel che c’è dentro. È chiaro che se l’intento è violare la riservatezza, l’obiettivo può essere raggiunto in mille modi. Sarebbe stato più semplice aprirle, dato che non sono siglate. Esistono metodi molto più semplici per violare l’anonimato che osservare in controluce una busta semi-opaca. Ovviamente questo non è avvenuto.
E adesso?
Siamo convinti che la magistratura e il Consiglio di Stato alla fine si convincerà del comportamento rispettoso che ha avuto la commissione d’esame in tutte le fasi concorsuali. I candidati – mille persone – hanno potuto osservare le buste per ben due volte, e in una di esse hanno inserito il cartoncino con i dati anagrafici. Nessuno si è accorto, in quel momento, che le buste potevano essere trasparenti e ciò non avrebbe potuto garantire l’anonimato. Nessuna norma giuridica dice come debbano essere le buste, che abbiamo ordinato attraverso la Consip, una società per azioni del Ministero dell’Economia che gestisce e razionalizza le spese. Nel suo sito si trova un elenco con centinaia di tipi di buste diverse, con alcune informazioni come il peso e la dimensione. La Consip non ha in offerta buste per concorso. Se si fosse voluta invalidare l’anonimato, avremmo acquistato buste con la finestrella in plastica, ad esempio.