L’Isis è in crisi e ora vende le schiave yazide su Facebook. «Questa costa 8.000 dollari»

Di Leone Grotti
31 Maggio 2016
Si tratta della prima volta che un membro dell'Isis cerca di vendere online una ragazza. Lo Stato islamico perde terreno sia in Iraq che in Siria

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«A tutti i fratelli che stanno pensando di comprare una schiava: questa qui costa 8.000 dollari». Comincia così un post pubblicato su Facebook il 20 maggio da Abu Assad Almani, ritenuto un combattente dello Stato islamico. Nella foto, una giovane ragazza sui 18 anni con un sorriso appena abbozzato. Poche ore dopo, un secondo post con un’altra ragazza: «Anche questa sabiyah (schiava, ndr) costa circa 8.000 dollari. Va bene o no?». A poche ore dalla pubblicazione, Facebook ha cancellato le foto.

[pubblicita_articolo allineam=”destra”]«SORPASSATO OGNI LIMITE». Si tratta della prima volta che un membro dell’Isis cerca di vendere online una ragazza, forse una delle centinaia di yazide rapite nell’agosto del 2014 in Iraq nella città di Sinjar. Si erano già verificati molti casi di compravendita tra jihadisti dello Stato islamico, mai però le donne erano state offerte al “pubblico” attraverso un social media. «L’Isis ha sorpassato ogni limite», ha commentato Steven Stalinsky, direttore esecutivo di Memri, che ha dato per primo la notizia.

«PERCHÉ COSTA TANTO?». Sotto i post si è scatenata una discussione. «Perché costa così tanto? Ha qualche dote eccezionale che ne giustifichi il prezzo?», scrive uno. «No», risponde Almani, «dipende da domanda e offerta», dando a intendere che l’Isis abbia molte richieste. Il jihadista, secondo gli esperti, sarebbe di origini tedesche e avrebbe molti contatti con il centro del potere di Raqqa.

SIRIA E IRAQ. Secondo il Washington Post, la vendita delle schiave dipenderebbe dalla crisi economica che sta attraversando lo Stato islamico, insidiato sia in Iraq che in Siria. Le forze irachene infatti, forse aiutate dalle milizie sciite iraniane, sono entrate a Falluja da tre diversi punti e stanno riconquistando la prima città presa dall’Isis in Iraq. I curdi, invece, si stanno avvicinando dal confine con la Turchia alla capitale siriana del Califfato, Raqqa. Forti della copertura aerea americana, sono arrivati a 45 chilometri dalla città, dimostrandosi forse l’unica forza sul terreno affidabile ed efficace, al contrario dei ribelli.

CRISI ECONOMICA. Questi non sono i primi segnali di una possibile crisi dello Stato islamico. Il mese scorso, l’Isis ha tagliato le paghe ai suoi combattenti di circa il 50 per cento, a causa di una crisi di liquidità. È quanto risulta da alcuni documenti con il marchio del Califfato trovati in diverse città riconquistate dall’esercito di Assad o dai ribelli in Siria. I documenti erano stati analizzati dalla Cnn.
Altre direttive dell’Isis richiedevano ai combattenti di tagliare il consumo di elettricità e di non utilizzare più le “auto blu” del califfato per scopi personali. Secondo l’esperto Aymenn al-Tamimi, ricercatore sul jihad del think tank Middle East Forum, «il taglio dei benefit dimostra che l’Isis è nel mezzo di una crisi finanziaria».

@LeoneGrotti

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2 commenti

  1. Luca P.

    Il petrolio sceso a meno di 50$ al barile ha messo in difficoltà sia loro che gli amici Arabi che li finanziano.
    La stretta sui profitti derivanti dai profughi verso la Turchia ha fatto il resto.
    La cosa preoccupante sarà capire cosa faranno quelle migliaia di “foreign fighters” combattenti dell’ISIS una volta finita questa guerra.

    1. Menelik

      Io farei un accordo col governo iraniano: se li prendano loro i prigionieri.
      In cambio di rapporti commerciali con l’Occidente.
      Chiaramente nel contratto i foreign fighters sarebbero i primi ad andare nelle strutture detentive iraniane.
      Poi dopo ci facciano quello che vogliono.
      L’importante è che non possano tornare in Europa.
      Mai più.

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