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La Libia è una catastrofe. E i paesi che fomentarono la “primavera” cosa fanno? Evacuano i loro cittadini e tanti saluti

Il paese è sull'orlo del disastro economico e umanitario. Sono già centinaia i morti nella guerra che infuria tra diverse milizie islamiste ed esercito governativo. Ieri è stata incendiata una cisterna con 6,6 milioni di litri di carburante

Leone Grotti
29/07/2014 - 16:13
Esteri
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«Il grande errore della comunità internazionale, specialmente dell’Europa, è stato sostenere la Nato per eliminare Gheddafi» e poi «non fare nulla per aiutare nella ricostruzione. Sarebbe stato molto meglio allora non intervenire». Salvatore Bosco, imprenditore che da oltre 30 anni lavora in Libia come consulente nel campo petrolifero e del gas, non è certo un analista politico ma il ragionamento espresso al Corriere della Sera non fa una piega.

L’OCCIDENTE SE NE VA. Come tutti gli altri imprenditori, anche Salvatore è scappato dal paese dove l’anarchia regna sovrana e sul campo milizie opposte si combattono in questi giorni (e da anni ormai) tra di loro per il controllo del territorio. Sabato sono stati evacuati dalla Libia i diplomatici e cittadini americani, seguiti a ruota da quelli francesi, tedeschi, inglesi, italiani, spagnoli e turchi. Chi ha messo nei guai la Libia (l’Occidente), appoggiando e fomentando la cosiddetta “Primavera araba” che ha portato all’uccisione del rais Gheddafi il 20 ottobre 2011, ora scappa davanti allo sgretolamento dello Stato e all’infuriare della guerra, che nelle ultime settimane ha causato centinaia di vittime.

LA SCONFITTA DEI FRATELLI MUSULMANI. Nei giorni scorsi è stato reso noto l’esito delle elezioni parlamentari del 25 giugno, che ha visto l’affermazione del movimento “civile ” e “liberale” a danno delle formazioni islamiste. Il partito legato ai Fratelli Musulmani ha ottenuto solo 30 seggi su 200. Anche per questo le milizie islamiste, forse appoggiate da elementi qaedisti, hanno attaccato lo scorso 13 luglio l’aeroporto di Tripoli, nel sud della capitale, e aumentato le operazioni a Bengasi, la roccaforte dei ribelli nell’est del paese, da cui è partita la rivoluzione contro Gheddafi.

Tempi a Caorle per il Premio Luigi Amicone 2023 - Chiamare le cose con il loro nome Tempi a Caorle per il Premio Luigi Amicone 2023 - Chiamare le cose con il loro nome Tempi a Caorle per il Premio Luigi Amicone 2023 - Chiamare le cose con il loro nome
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GUERRA ALL’AEROPORTO. A Tripoli l’esercito, insieme alle milizie di Zintan, ha dato battaglia agli islamisti legati a Misurata e ieri un grande sito di stoccaggio di combustibile contenente oltre 6,6 milioni di litri di carburante è stato colpito da un missile e ha preso fuoco. Un enorme colonna di fumo nero si è alzata nel cielo e ora si teme che l’incendio possa espandersi ad altre due cisterne comportando un disastro economico, ambientale e umanitario gravissimo. I combattimenti finora hanno impedito ai vigili del fuoco di spegnere l’incendio.

E L’ONU? Nel frattempo si combatte anche a Bengasi, dove alle milizie islamiste ha dichiarato guerra l’ex generale libico Khalifa Haftar, che con l’appoggio di diversi reparti dell’esercito a maggio ha lanciato l’operazione “Dignità” per eliminare i jihadisti e riportare l’ordine nel paese.
L’Italia per ora ha deciso di non evacuare il suo personale diplomatico a Tripoli ma la situazione sembra disperata. Gli inviati dell’Onu, che nel 2011 con la risoluzione 1973 approvò l’intervento in Libia, se ne sono già andati dalla capitale da tempo. Lasciando la Libia al suo destino dopo averla destabilizzata.

@LeoneGrotti

Tags: bengasielezioni libiagheddafi libiaguerra libiahaftar libiaislam bengasiislam libiakhalifa haftarlibiamilizie islamiste libiamilizie libiamisuratanato libiaoccidente libiaprimavera arabaprimavera araba libiatripolitripoli libiazintan
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