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L’hanno costretto a denunciare suo padre tre volte e a pascolare maiali. Oggi è capo del partito comunista cinese
La Cina ha la Quinta generazione di leader. Ieri si è chiuso il 18mo Congresso nazionale del Partito comunista cinese. Nella Grande sala del popolo in Piazza Tienanmen, 2.307 delegati a Pechino hanno “scelto” i 205 membri del Comitato centrale più altri 171 senza diritto di voto. Questi hanno nominato il Politburo, composto da 24 membri, e il Comitato permanente del Politburo, organo ristrettissimo di sette membri che comanda di fatto un miliardo e 300 milioni di cinesi. Dopo Mao Zedong, Deng Xiaoping, Jiang Zemin e Hu Jintao, il nuovo imperatore è Xi Jinping (copyright Harry Wu), che diventerà anche presidente del paese a marzo. Sempre a marzo, diventerà premier del paese il nuovo numero due del partito, Li Keqiang. Oltre a loro due, nel Comitato permanente sono stati eletti (nella foto) Zhang Dejiang, Yu Zhengsheng, Zhang Gaoyu, Liu Yunshan e il vicepremier Wang Qishan, l’unico che dà l’impressione di essere un riformista.
PRINCIPINI CONTRO GIOVANI COMUNISTI. Tutti i sette membri si sono aggiudicati il centro del potere comunista per i prossimi dieci anni grazie a una lenta carriera nel partito. Non sono stati eletti dal popolo, non sono stati scelti dai delegati del partito: sono stati nominati dopo una lotta intestina tra le diverse fazioni del partito, i “pincipini”, figli dei padri della rivoluzione di Mao, e la “Lega dei giovani comunisti”. Inutile parlare delle carriere personali di questi nuovi gerarchi e delle loro storie di potere. Vale la pena solo citare qualche tratto della vita di Xi Jinping e Yu Zhengsheng per far capire la stranezza di un regime unico al mondo dove i perseguitati di ieri sono i persecutori di oggi.
COSTRETTO A DENUNCIARE SUO PADRE. Xi Jinping ha 59 anni ed è il nuovo imperatore della Cina. Ma l’attuale segretario del partito comunista non deve avere dimenticato che cosa il partito ha fatto a lui e a suo padre, Xi Zhongxun, generale della rivoluzione comunista epurato nel 1962. Quell’anno infatti aveva autorizzato la pubblicazione di un libro che non piaceva a Mao. Per questo il figlio Jinping è stato costretto durante la Rivoluzione culturale a denunciarlo per ben tre volte. Il padre poi venne riabilitato e per questo il giovane Xi non venne preso di mira e ucciso ma se la cavò facendosi rieducare in campagna, zappando la terra e pascolando maiali. La sua iscrizione al partito venne rifiutata nove volte, quella all’università tre. Quando il padre si azzardò a condannare il massacro di piazza Tienanmen, la sua carriera era ormai avviata. Chin l’ha conosciuto lo definisce sia remissivo sia assetato di potere, chissà se accetterà di fare al popolo cinese quello che è stato fatto a lui.
UNA FAMIGLIA PERSEGUITATA DAL REGIME. Emblematica è anche la storia di Yu Zhengsheng, come riporta AsiaNews: «Una volta ha confessato che almeno sei membri della sua famiglia sono morti durante “il grande caos” della Rivoluzione culturale; sua sorella minore ha commesso suicidio mentre era adolescente; sua madre, già avanguardia rivoluzionaria, è stata imprigionata per sette anni, morendo schizofrenica». Lui è riuscito a sopravvivere alla Rivoluzione Culturale nonostante tra i suoi parenti ci fossero un ministro della Difesa di Taiwan e il primo marito della terza moglie di Mao. A metà degli anni Ottanta suo fratello, funzionario dell’intelligence, è scappato negli Stati Uniti. Se Yu è stato risparmiato dall’epurazione che doveva conseguirne è solo perché era amico di Deng Pufang, figlio maggiore del successore di Mao, Deng Xiaoping. Non deve essere facile dimenticare tutto quello che la sua famiglia ha dovuto subire a causa dell’ideologia comunista, ma chi l’ha conosciuto ha parlato di una persona «aperta di mente, che sa scendere a compromessi». Così tanto che il perseguitato è diventato il persecutore.
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