Leonardo ingegner da Vinci. Più che inventore, grande osservatore
C’è una mostra a Milano visitata da 90 mila persone in quattro mesi ma pressoché ignorata dal mondo accademico. Come mai? Perché Leonardo appare più ingegnere che artista (anche se ai suoi tempi le due cose non erano così distinte come oggi) ed emerge un’immagine del genio da Vinci diversa da quella studiata sui libri. Uno scienziato curioso, che osservava tanto e inventava poco e che seppe prendersi il merito di gesta altrui. Per esempio, la famosa vite di Archimede di Leonardo fu un’invenzione di Archimede, appunto; l’Uomo vitruviano, uno dei disegni più conosciuti di Leonardo e riprodotto anche sulla moneta da un euro, era di Vitruvio.
Persino il Codice Atlantico, che di atlantico ha soltanto il formato (da atlante), è una raccolta di mille fogli, schizzi e disegni leonardeschi di vario genere e qualità, messi insieme dai suoi allievi – in primis Francesco Melzi – molti anni dopo la morte del maestro. Insomma, Leonardo è universalmente noto come inventore dell’elicottero, del carro armato, del carro falciante, del paracadute e della bicicletta. Tutta farina del suo sacco? «Niente di più falso», spiega Mario Taddei, uno dei tre curatori di “Leonardo 3. Il mondo di Leonardo”, la mostra in corso a Milano nelle Sale del Re di Piazza della Scala (accesso dalla galleria Vittorio Emanuele II). «Carri, paracadute, bombarde e catapulte erano armi e invenzioni medievali che Leonardo studiava e ricopiava nei suoi taccuini. La bicicletta è una delle più grandi stupidaggini mai ricostruite!».
La fama del Leonardo genio e inventore sembrerebbe una bufala ottocentesca. «Il segreto del suo successo sta nella sua grande curiosità – racconta Massimiliano Lisa altro curatore con Taddei ed Edoardo Zanon – e soprattutto nell’aver innovato e sperimentato senza paura di fallire, anche se moltissimi dei suoi progetti sono stati degli insuccessi». Basti pensare alle sue macchine volanti che non sono mai riuscite a volare, o alla sua Clavi-Viola, strumento musicale realmente funzionante, ma con un motore rumoroso. Oppure ai suoi dipinti murali realizzati con tecniche sperimentali che non hanno retto la sfida del tempo: la Battaglia di Anghiari si è distrutta ancora prima di essere terminata, mentre il Cenacolo è giunto sino a noi, ma solo come un’immagine sbiadita di quel che fu appena terminato.
Novantamila visite
«Per me Leonardo è e resta anzitutto, o forse soltanto, un pittore», risponde a caldo Edoardo Villata, docente di Storia dell’arte moderna all’Università Cattolica di Milano e autorevole studioso dei codici vinciani. «Se Leonardo avesse fatto tutto quello che ha fatto, tranne dipingere – prosegue Villata –, sarebbe solo interessante per i suoi studi anatomici e geologici, con concezioni parallele (ma non in anticipo) a quelle espresse da Baldassare Castiglione. Tuttavia, non è con il progetto di un ponte mobile, di un rudimentale girarrosto o di una cassaforte a incastro, più una quantità di macchine che regolarmente non funzionano, che si diventa una delle figure portanti della civiltà occidentale.
Leonardo è Leonardo per l’Adorazione dei Magi, per la Belle ferronnière, per la Gioconda; ma questo nelle sale della mostra non lo si capisce». Con vis polemica, Villata sottolinea la grandezza del “Leonardo pittore”. «Perché se è vero che i disegni sono meravigliosi, basta confrontare gli studi preparatori con le opere realizzate, siano pure incompiute come l’Adorazione dei Magi o massacrate come il Cenacolo, per capire che la grandezza di Leonardo è proprio nella pittura». Questo giudizio è alla base della diffidenza che quasi tutto il mondo accademico nutre verso chi si avventura nel mondo di Leonardo cercando nuove chiavi di accesso, di lettura o, più semplicemente, di divulgazione democratica del suo ingegno. Ma Leonardo ci ha lasciato seimila fogli manoscritti e altrettanti sono andati perduti. Perché non bisognerebbe (ri)trovare il suo pensiero più autentico proprio in questi appunti? Prova a farlo questa spettacolare mostra che l’ex assessore alla Cultura di Milano, Stefano Boeri, aveva inizialmente boicottato e che, grazie al suo successore, Filippo Del Corno, resterà aperta fino al 28 febbraio 2014. Doveva chiudere a fine luglio, ma dopo il grande successo di pubblico (in due settimane 30 mila persone hanno acquistato il biglietto online e 400 gruppi scolastici hanno prenotato la visita) si è deciso di prorogarla, assecondando i desideri di un popolo di ogni lingua, età e istruzione accorso a visitarla: le audio guide in italiano, inglese, francese, tedesco, russo e cinese vanno a ruba.
La mostra, partita da Milano nel 2002, sta girando il mondo da dieci anni; ogni edizione, però, è più ricca della precedente, con nuove scoperte e inedite esperienze interattive; da Tokyo a New York, da San Paolo a Doha, in Qatar. È proprio qui che Giorgio Napolitano l’ha vista e, rimasto incantato, le ha riconosciuto l’ambito premio di rappresentanza del presidente della Repubblica italiana. È grazie a questa onorificenza che Milano non ha potuto rifiutare l’ennesima edizione della mostra. L’esposizione – interamente progettata e realizzata dal Centro Studi Leonardo3 di Lisa, Taddei e Zanon (professionisti di informatica e web design appassionati di Leonardo) – fa invecchiare in un nano secondo tutte le macchine di Leonardo esposte al Museo della Scienza e della Tecnica di Milano. Come mai? Perché, grazie a una sofisticata tecnologia di interaction design, tutti i 1.100 fogli del Codice Atlantico sono stati riprodotti in formato digitale (consultabili in modalità touch screen) e poi ripuliti “virtualmente” da macchie di muffa, ombre di ruggine o perdite di colore che ne impedivano la lettura.
L’aiuto del computer
Taddei e Zanon sono riusciti là dove generazioni di studiosi si erano arresi; hanno letto tra le righe della scrittura sinistrorsa (Leonardo era mancino e come gli orientali scriveva da destra verso sinistra) e le hanno interpretate correttamente. Persino Carlo Pedretti, il più importante studioso vivente di Leonardo, ha commentato: «Questo lavoro è molto rigoroso. Il computer è uno strumento indispensabile». Abilmente programmato, infatti, il computer ha completato il processo di alcune funzioni meccaniche che Leonardo aveva soltanto impostato e così i pensieri di un uomo del Rinascimento sono tornati a vivere.
Sono ricostruite in 3D e nel rispetto dei progetti originali, oltre duecento macchine presenti nei più importanti manoscritti arrivati fino ai nostri giorni: il Manoscritto B, il Codice del Volo e il Codice Atlantico. Dallo studio di quest’ultimo, poi, sono state ricreate macchine suggestive: la Clavi-Viola, il Leone Meccanico, l’Automobile-Robot, il Cavaliere-Robot, la Bombarda multipla, e molte altre. Tra le anteprime mondiali vengono svelate per la prima volta al pubblico le ricostruzioni inedite del Sottomarino Meccanico, della Macchina del Tempo, del Cubo Magico e della Libellula Meccanica. “Il mondo di Leonardo” consente di vedere in prima persona la costruzione della Macchina Volante di Milano, della torre più alta del mondo prevista al Castello Sforzesco e di dipingere l’Ultima Cena. Al Cavallo gigante, ovvero Il Monumento a Francesco Sforza, è dedicata una stazione che svela come avrebbe potuto essere il monumento completo.
«Non sono sicuro che la mostra veicoli una divulgazione davvero corretta», puntualizza Edoardo Villata. «Manca qualunque constestualizzazione, Leonardo sembra piovuto dal cielo mentre altri prima, contemporaneamente e subito dopo di lui portavano avanti, talvolta con maggior successo, ricerche analoghe. Nulla viene detto su questa “civiltà delle macchine”, uso un’espressione olivettiana, in realtà diffusa nell’Italia del Quattrocento. Anche alcune ricostruzioni (per esempio quella dei soldati meccanici) sembrano alquanto forzate, così come arbitrarie sono le denominazioni date al codice di Madrid II che diventa “Codice del cavallo”, o a macchine come quella per ottenere il moto perpetuo che addirittura diventa “macchina del tempo”. Se non erro, non si specifica nemmeno quali siano state costruite davvero (forse una sola: il ponte mobile per guadare i fiumi, ricordato da Luca Pacioli nel De viribus quantitatis) e quali no. Tra installazioni, postazioni, virtualità di ogni genere, scompare il Leonardo artista, evocato solo da una modesta riproduzione elettronica della Gioconda e da una velleitaria ricostruzione del Cenacolo, con profili rigidi e colori sfacciati, degni di un coperchio da scatola di latta».
Certo si può ancora migliorare (l’allestimento è claustrofobico, il titolo è ambiguo, la storia dell’arte negletta); tuttavia il pubblico fa davvero un’esperienza sensoriale e la mostra parla il linguaggio dinamico, multimediale e interattivo della contemporaneità. Leggendo i commenti all’esterno dalla mostra si percepisce il forte entusiasmo dei visitatori. «Il Centro Studi Leonardo 3 deve andare avanti con coraggio – auspica Carlo Pedretti –. Leonardo visse a Milano per 18 anni, dal 1482 al 1500; alla città servirebbe proprio un progetto sistematico sull’artista e sullo scienziato. Una sorta di mostra permanente». Perché non iniziare a pensarla in vista di Expo 2015?
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