Good Bye, Lenin!
Le lezioni radiofoniche di padre Aleksandr Šmeman, che piacevano tanto anche a Solženicyn
«Oggi ho incontrato la mia futura moglie!» esclama il ventenne Aleksandr Šmeman dopo aver conosciuto, sui gradini che portano alla chiesa, Iulianija Osorgina, di un paio d’anni più giovane di lui. Aleksandr era nato il 13 settembre 1921 in una famiglia dell’aristocrazia russa che, avendo lasciato il proprio paese a causa della Rivoluzione, si era stabilita definitivamente in Francia.
In quegli anni a Parigi gli ambienti dell’emigrazione costituiscono un mondo a sé, dove si incontrano intellettuali, artisti, teologi, aristocratici, si svolgono dibattiti sulla Rivoluzione e le sorti della Russia e, come nel caso della famiglia Šmeman, si educano le giovani generazioni in scuole «tradizionali» e un po’ isolate rispetto alla società francese. Il piccolo Aleksandr frequenta la scuola dei cadetti russi, poi ottiene ottimi voti al liceo francese dove si appassiona alla letteratura e alla filosofia. Se da un lato riceve un’educazione «patriottica», dall’altro capisce che la Russia è parte integrante della cultura e della cristianità europea. Il culmine di questa coscienza gli viene donato proprio dall’ortodossia russa, di cui assimila lo spirito più autentico grazie ai testimoni dell’epoca.
Gli Šmeman condividono la sorte dell’emigrazione: il capofamiglia Dmitrij, ex-ufficiale della Guardia imperiale, è sempre alla ricerca di un lavoro che gli permetta di mantenere la famiglia, finché un giorno – nella primavera del ’39 – torna a casa raggiante: ha appena vinto 25.000 franchi alla lotteria! Una bella somma, che permette agli Šmeman di ritrovare un po’ di stabilità. E in quello stesso anno, mentre la situazione internazionale precipita con l’inizio della guerra, il giovane Aleksandr inizia a studiare all’istituto teologico Saint-Serge, dove insegnano i più grandi filosofi e teologi russi all’estero.
«Studierò qui, ma non intendo farmi monaco…», spiega a Iulianija salendo quelle fatidiche scale. Lei era nata in un’antica famiglia nobiliare che aveva vissuto direttamente il dramma della Rivoluzione (lo zio Georgij era stato fucilato alle isole Solovki). I due giovani frequentano le lezioni di storia dell’arte del professor Vejdle: «Sì, ci andavamo anche per stare assieme, ma per entrambi questo corso fu una finestra spalancata sul mondo dell’arte e della bellezza… Eravamo studenti poveri, senza lavoro, sempre affamati, ma anche spensierati e allegri!».
Ancor prima di aver terminato gli studi, nel gennaio del ’43 si sposano e vanno a vivere in un appartamento «al settimo piano senza ascensore», sopra i genitori di Aleksandr che li aiutano anche economicamente perché traduzioni e lezioni non bastano a sbarcare il lunario e a mantenere i tre figli che presto verranno – almeno finché il giovane teologo non comincerà a insegnare storia della Chiesa al Saint-Serge. A questa disciplina si appassiona grazie a padre Kern e Nikolaj Afanas’ev: l’«ecclesiologia eucaristica» di quest’ultimo costituirà una base importante per il cammino teologico di Aleksandr che viene ordinato sacerdote nel 1946. L’esperienza al Saint-Serge lo aiuta anche a proseguire e sviluppare l’apertura alla cultura cattolica: importanti nella sua formazione sono le letture di autori come Péguy e Claudel, e i contatti con teologi cattolici.
Con il passar degli anni, mentre vengono meno le speranze di rientrare in Russia, padre Aleksandr si chiede quale sia il compito storico della diaspora ortodossa e la missione che le è affidata, e sogna la costituzione di una struttura ecclesiastica locale in grado di radicarsi nel territorio e consentire una reale vita di Chiesa. Ma le risposte sostanzialmente «politiche» della vecchia generazione, che preferisce appoggiarsi al patriarcato di Costantinopoli per sottrarsi al controllo di Mosca senza avere preoccupazioni unitarie al proprio interno e missionarie nei confronti dell’Occidente, spingono Aleksandr ad accogliere la proposta del teologo Florovskij di recarsi negli USA, dove intravvede maggiori possibilità di lavoro pastorale ed educativo.
È l’inizio di una grande avventura: nell’estate del 1951, padre Šmeman si trasferisce con la famiglia a New York, dove insegnerà al seminario teologico ortodosso San Vladimir. Dal ’53 alla morte, ogni settimana parla ai compatrioti da Radio Liberty che trasmette in URSS: omelie e brevi lezioni o riflessioni su temi letterari e su scrittori antichi e moderni. Tra gli assidui ascoltatori c’è Solženicyn che un giorno, appena espulso dall’URSS dopo la pubblicazione dell’Arcipelago GULag, invita padre Aleksandr a venirlo a trovare in Svizzera. Così, ricorda Iulijana, i due trascorrono alcuni giorni sui monti, parlando intensamente dei compiti della Chiesa «perché Solženicyn considerava un vero e proprio peccato perder tempo in chiacchiere inutili». Da uomini veri, hanno molto in comune ma anche opinioni diverse.
Gli ultimi trent’anni della vita di padre Aleksandr sono dedicati all’insegnamento e al ministero sacerdotale. Il desiderio che nasca in loco una Chiesa ortodossa unitaria comincia a realizzarsi nel 1970 attraverso l’istituzione della Chiesa ortodossa autocefala americana, che richiederà a Šmeman nuovi carichi di lavoro. Nell’83 padre Aleksandr muore.
Con I passi della fede, che presenta una raccolta delle riflessioni radiofoniche, «La Casa di Matriona» ha voluto rendere omaggio a questo straordinario teologo che ha saputo «restituire» ai propri compatrioti la ricchezza della loro stessa tradizione, che tanto può trasmettere anche all’Occidente relativista.
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