“La vita di Adéle”, il film-manifesto dell’amore gay che finisce per smantellare l’immaginario #loveislove

Di Rodolfo Casadei
02 Dicembre 2013
Al Festival di Cannes lo hanno celebrato come un inno all’omosessualità. Al contrario, l'opera di Kechiche insegna che la felicità non coincide affatto con l’appagamento delle proprie pulsioni. Neanche quando le chiamiamo “amore”

Sesso senza inibizioni, delizie gastronomiche, mostre artistiche a ripetizione ed esibizione della nudità femminile come opera d’arte: La vita di Adéle di Abdellatif Kechiche, vincitore della Palma d’oro all’ultimo Festival di Cannes, di primo acchito sembra un manifesto dell’edonismo, la traduzione cinematografica della filosofia di Michel Onfray. Ne è in realtà una radicale confutazione.

Sul film del regista franco-tunisino avevo letto, all’indomani dell’assegnazione del premio, una recensione del Daily Telegraph che davvero incuriosiva. In sintesi diceva: la morale del film è che, a parte l’amore, è meglio avere qualcos’altro da fare. Non so se a Cannes hanno deciso di premiare il film come contributo alla generale opera di canonizzazione dell’omosessualità, uno dei prodotti e insieme uno degli strumenti dell’egemonia culturale relativista e della dominante ideologia dell’egualitarismo. Fatto sta che il film è un vero apologo morale sull’impossibilità della felicità umana non a causa dei condizionamenti culturali, religiosi, psicologici, eccetera che gli edonisti e i relativisti da sempre denunciano, ma a motivo della scissione che ogni essere umano ha dentro di sé e che finisce puntualmente per emergere e per condizionare le sue azioni.

Non è colpa di Platone, tanto meno del cristianesimo. Il non porre nessun ostacolo di tipo morale o legale alla ricerca del piacere non facilita affatto il perseguimento e il raggiungimento della felicità, perché comunque c’è una fragilità di fondo nell’essere umano che fa sì che non sappia veramente quello che vuole e che non abbia la possibilità di rendere durevole il suo desiderio. Anche quando lo chiama amore. La morale del film, non esplicita ma intuibile e che il recensore del quotidiano britannico col suo senso pratico tipicamente anglosassone ha colto, è veramente che l’amore passionale è destinato al fallimento e a infliggere infelicità, e che solo un amore oblativo offre alla persona un po’ di stabilità emotiva ed esistenziale.

Un brindisi amaro
La vita di Adéle è liberamente tratto da una storia a fumetti che s’intitola Il blu è un colore caldo. Della storia originale resta solo l’esibizione dei rapporti sessuali – un’accurata descrizione visiva e sonora di incontri intimi – fra le due protagoniste, che nel film si chiamano Adéle ed Emma. Tutto il resto è cambiato. Adéle è una studentessa all’ultimo anno di liceo che non ha mai provato attrazione verso persone del suo stesso sesso, e che improvvisamente sperimenta un colpo di fulmine travolgente per la mascolina Emma, un’artista di tendenza. Prima di avvicinarla oscilla fra una storia con un ragazzo e comportamenti lesbici con una compagna di scuola. Poi l’incontro ha luogo e la passione, trionfalmente carnale, trova strada libera.

Adéle si innamora perdutamente di Emma e desidera vivere in funzione di lei. Comincia a fare la maestra mentre ancora studia per la laurea, suo desiderio da sempre. Un senso di solitudine nei momenti in cui Emma è assente la spinge fra le braccia di un uomo. La compagna scopre tutto e la caccia di casa. Adéle non si dà pace, mentre si fa assorbire dal suo lavoro prima in una scuola materna e poi in una prima elementare. Dopo qualche tempo le due donne si danno un appuntamento e Adéle tenta il tutto per tutto, giocando la carta dell’irresistibile attrazione sessuale che continua a esistere fra loro. Ma Emma, che pure riconosce l’unicità dell’esperienza passionale che le ha legate e che mantiene intatta la sua forza, resiste e la congeda: «Adesso ho una famiglia», dice alludendo a un’ex compagna con la quale è tornata a vivere e che ha portato in casa un bebè, non si capisce bene concepito come. «E non ti amo più».

Per tutto il film alla descrizione calligrafica delle estasi carnali si alternano scene di piacere gastronomico conviviale: cene e party dove si mangia e si parla di quel che si mangia con evidente soddisfazione. E che spesso si concludono con un brindisi collettivo: «All’amore!». Ogni volta lasciando l’impressione di un misto di ironia e di dramma imminente.

L’essere umano porta dentro di sé una ferita, una frattura, una scissione, una duplicità, una contraddizione irrisolvibile. L’hanno raccontata i poeti, le religioni, cristianesimo in testa, e l’ha descritta la psicanalisi. Ovidio ha scritto: «Vedo quel che è meglio, e lo riconosco come tale, ma aderisco a quel che è peggio». È stato il cristianesimo a formalizzare la dottrina del peccato originale, che sottolinea l’impossibilità per l’uomo di essere coerente nelle azioni con i giudizi che gli vengono dalla coscienza morale. E Sigmund Freud ha scoperto l’inconscio come sede di una volontà spesso diversa e opposta a quella cosciente del singolo e la contrapposizione fra principio di piacere e pulsione di morte nella psiche individuale. Quanto basta a spiegare il vagabondaggio sentimentale di Adéle che avviene nonostante il fortissimo legame di dipendenza fisica ed emotiva da Emma, e il disamore di Emma per Adéle che non è sovrastato dalla durevole attrazione fisica.

Perdere la vita per salvarla
Che ne è allora dell’uomo e della donna, destinati a transitare dall’estasi al dolore e all’infelicità per una logica delle cose implacabile? L’unico spiraglio che Kechiche indica è quello della dedizione di Adéle per i suoi ragazzini. Una dedizione che non elimina la sofferenza interiore e fisica della fine traumatica e traumatizzante della relazione passionale, ma che si presenta comunque come spazio dell’autorealizzazione della persona. Qui qualcuno non la prenderà bene, ma non si può fare a meno di dire che il finale del film fa venire in mente le parole di Cristo: «Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà» (Mt 16,25).

È una frase che arriva al cuore di credenti, non credenti e dubbiosi, e crea disagio, perché costringe a fare i conti con un’esperienza che non può essere negata. Ha una portata teologica indubitabile, ma si presta anche a una lettura laica che accomuna credenti e non credenti: mettere sempre al centro di tutto se stessi, la propria ricerca di felicità, è ricetta sicura per l’infelicità; porre il centro degli affetti fuori da sé, dedicarsi al senso delle proprie azioni piuttosto che alla ricerca di sensazioni porta alla scoperta (o meglio: alla riscoperta) di una dimensione dell’umano che ha come ricaduta il sollievo, la pace e la soddisfazione. Come ricaduta: non è la ricerca del piacere che porta a un piacere durevole, ma l’affermazione di un senso delle cose.

Su questo è stato molto chiaro quel grande uomo che va sotto il nome di Viktor Frankl, lo psichiatra viennese ebreo sopravvissuto ad Auschwitz e Dachau fondatore dell’analisi esistenziale e della logoterapia. Frankl diceva che nell’essere umano il bisogno di senso/significato è tanto forte quanto quello di piacere, e deve avere la precedenza se l’uomo vuole poter aspirare alla felicità.

Cesare De Monti ha sintetizzato così il pensiero di Frankl: «Ogni realtà ha un senso; la vita non cessa mai d’aver un senso, per nessuno; il “senso” è una cosa molto specifica e cambia da individuo a individuo e, per ogni individuo, da momento a momento; ogni individuo è unico, irripetibile, insostituibile e ogni vita contiene compiti e incarichi unici che vanno scoperti, e a cui si deve rispondere; è la ricerca dei propri incarichi, e la risposta che si dà loro, che crea un senso; la felicità, l’appagamento, la pace della coscienza, sono il risultato di questa ricerca (non il fine, e quindi non quello che va cercato primariamente); il senso di vuoto e di inutilità è inevitabile se non si trascende se stessi, se non ci si consacra a qualcosa (creatività) o a qualcuno (amore); la sorte avversa non ci impedisce di affrontare il dolore come una prova, un compito, e una sfida: l’atteggiamento dipende da noi».

Una bella lezione per tutte le Adéle di questo mondo, perché non è ex cathedra: è un giudizio sull’esperienza che le Adéle fanno nella vita, e che dunque possono riconoscere pertinente. E che aiuta a comprendere a fondo le famose parole di papa Francesco: «Quando la Chiesa è chiusa, si ammala. La Chiesa deve uscire verso le periferie esistenziali». Vale per la Chiesa, che conosce e annuncia il significato ultimo, vale per ogni essere umano, che anche quando non ha fede intuisce che deve trascendersi se non vuole sbagliare strada nel cammino verso la felicità.

@RodolfoCasadei

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25 commenti

  1. Mi sono state chieste le scuse da Giovanna -“quella vera” rispetto a “quella falsa”, scuse che non ho difficoltà a porgere. Ma io mi riferivo a chi ha scritto quel commento e a chi ne ha scritti altri.
    Quelli sì volgari e offensivi.
    Il tema della omosessualità è molto complesso, non è possibile liquidarlo con battute.
    Occorre molta prudenza.
    Come dice il Papa, una cosa sono le lobby, con tutto ciò che ne deriva (matrimoni, adozioni)
    altro è l’essere omosessuale.
    E, addirittura aggiunge: “CHI SONO IO PER GIUDICARE”.
    Ma in questo sito di giudizi, anche avventati, se ne sentono diversi.
    Un saluto, sempre alla Giovanna “vera”

    1. francesco 2

      Robinson certo perché i matrimoni gay sono un invenzione ad uso e consumo delle lobby gay (che non ho ben capito cosa sono secondo voi). guarda che ci sono tantissimi omosessuali che non frequentano nessun giro o circolo ma che cmq vorrebbero potersi sposare

    2. giovanna

      Scusa, Robinson, se insisto, ma suppongo che parlando di giudizi avventati tu ti riferisca sempre al solito povero troll, che assume i nomi dei commentatori : lui vede se stesso così e pretende che gli altri lo vedano così, un essere immondo, a quel che scrive.
      E’ come se il dialogo tra persone tutte con un valore e una dignità infinite non lo soddisfacesse, vuole essere umiliato e siccome nessuno lo umilia, si umilia da solo e la cosa curiosa che anche altri gay di turno si attaccano al suo carro, per me è la cosa più incredibile di tutta la vicenda, e non parlo di te che mi hai chiesto scusa, ma di quelli che dicono che il troll ha ragione, in fondo, che gente come me che non ha mai detto mezza di mezza parola contro gli omosessuali, in effetti li disprezza.
      Ti saluto anch’io.

      1. francesco 2

        giovanna ma come fai a dire che tu non offendi i gay? ma ci stai con la testa? mica si offende solo dicendo parolacce, anzi spesso è il contrario

  2. mike

    solo una precisazione: nell’articolo si parla della scissione che ogni essere umano ha dentro di sé. credo ci si riferisse al peccato originale. c’è stato nel secolo scorso un uomo che è divenuto pure papa col nome di Paolo VI. egli diceva che nella nostra società non ci sono solo le conseguenze del peccato originale. ergo se i problemi non vengono solo da dentro di noi il senso di tale affermazione (di Paolo VI) è che vengono pure da fuori di noi. ossia sono i condizionamenti culturali. i quali se stravolgono la natura umana poi certo che l’uomo non è felice.

  3. alessandra

    Insomma, signor Casadei, cosa ha scoperto con questo film? Che la passione è breve? Che amore e addio viaggiano insieme? Bravo! è proprio così. Lo è per tutti. Un’ulteriore prova che amore non fa distinzione tra etero e omo e tutte le altre categorie che vogliamo imporgli.

    1. Rodolfo Casadei

      “Amore e addio viaggiano insieme”: bella , obiettivamente. Ma vorrei riproporre l’interrogativo che coincide col titolo di un libro di Alain Finkielkraut (che non è cattolico, credente, ecc.): “Et si l’amour durait?”

  4. Giovanna, non ti smentisci,
    sei di una volgarità unica.

    1. giovanna

      Caro Robinson, giusto poco sopra scrivevo: speriamo che nessuno abbocchi al troll “giovanna ” !
      E siccome non ho intenzione di cambiare nick a causa di questo signore, una persona sofferente , ma anche fastidiosa, per la millesima volta rispiego che il “giovanna ” prende il mio nick apposta per dimostrare quanto siano omofobi i lettori di tempi , ottenendo che quanto “giovanna” pensa evidentemente di se stesso sia attribuibile ai commentatori . La cosa buffa è che poi invece i commentatori che non si accorgono dell’intento prontamente contrastano le volgarità e le offese di “giovanna “: “giovanna” sei l’unico a descrivere gli omosessuali in quel modo tristissimo !
      Sto capendo più cose sul dolore che vivono gli omosessuali , soprattutto i gay, dal disagio manifestato così apertamente dal troll “giovanna” che da tutti i discorsi fotocopia dei gay di turno su questo sito .

      1. giovanna

        una nota per lo sveglissimo robinson : carissimo, credi ti dovresti rimangiare la tua offesa, non tanto per il commento adeguato a ciò che scrive “giovanna” il troll, ma perché dici “non ti smentisci mai”, veramente sgradevole, perché sembri riferirti a cose volgari che avrei detto in passato e francamente quello non è il mio linguaggio o almeno dimostralo.
        o ti riferivi a tutte le frasi volgari ( che comunque corrispondono a ciò che sente su di sé una persona che non è mai stata amata ) di “giovanna ” ? mi sembrava di averle sempre rintuzzate, ma forse mi può essere sfuggito qualcosa.
        e d’altra parte è anche vero che non ho il copiright sul nome giovanna, ma pensa se un “robinson” scrivesse ” secondo me i gay dovrebbero essere picchiati duramente “…non saresti contento.

        1. francesco 2

          giovanna sono i tuoi pensieri ad essere volgari ed offensivi. non serve usare le parolacce per esserlo

          1. giovanna

            E caro Francesco 2, mi faresti il favore di riportare i miei pensieri volgari e offensivi ?
            quelli nero su bianco, magari in questi stessi commenti , non quello che tu pensi che io pensi.
            se ti fossi comportato da uomo vero, avresti dato addosso al povero troll “giovanna”, altro che raddoppiare gli insulti a casaccio.
            ma , in fondo, è sempre più evidente che i gay credono veramente di valere poco, pochissimo, non si accettano, addossano il loro dolore e il loro disprezzo agli altri( ormai l’avete scritto chiarissimamente)..no, essere gay non è una passeggiata.
            Alla fine è più rappresentativo dell’enorme disagio il povero troll “giovanna” di tutti i discorsi fotocopia campati per aria che fate, vi fa uscire allo scoperto.
            Io ti auguro di incontrare nella vita qualcuno che ti sveli il tuo valore come persona intera.

          2. francesco 2

            giovanna più di una volta hai parlato riguardo dissolutezza, disordine, innaturalità degli omosessuali, dipingendoci come dei “poveretti” malati che sono al confine con la demenza… ad esempio

          3. giovanna

            bello mio, ne avrà parlato il troll “giovanna “, di sicuro non io.
            a me della dissolutezza altrui interessa poco, direi niente, c’ho da pensare già abbastanza alle vicende mie.
            a meno che ti riferisca alla considerazione che nasciamo uomini o donne, veramente offensiva e volgare !
            o se tiferisci alla rabbia e aggressività ( lasciando perdere la superficialità allucinante e una minima base culturale ) che ho notato immancabilmente strabordante dai vostri interventi, mi sono solo chiesta se sia casuale o connessa ad una precisa situazione esistenziale e non parlo dell’omosessualità, ma proprio dell’essere immersi nell’ideologia gender.cioè se noto delle gravi carenze intellettuali e umane nei gay di turno qui, non è che sono omofoba ! o no ? 🙂
            comunque, prima di attaccarti al treno del troll, magari i tuoi insulti collocali precisamente…forse però si vedrebbe troppo che non sono fuori di te, ma sono dentro di te.

  5. Paolo

    Peccato che l’omosessualità sia una variante normale e naturale dell’affettività e della sessualità umana al pari dell’eterosessualitàì e non una pulsione.
    Non è il sesso della persona di cui ci si innamora o da cui si è attratti a stabilire le possibilità di essere felici o meno.
    Certo purtroppo alle famiglie omoparentali molta felicità è ancora negata a causa dell’asfissiante presenza di isterismi ideologici confessionali.
    Allo stesso modo definire come qualcosa di diverso dall’amore, in maniera aprioristica, il rapporto tra due persone dello stesso sesso, è solamente una assurda presunzione senza capo nè coda, creata unicamente al fine di sollazzare un’ideologia confessionale che non accetta che la realtà lka smentisca sonoramente….

    1. Paolo2

      Amen!!! Paolo ti dimentichi sempre di chiudere con “Amen”.
      Come tu ben sai qui siamo tutti cattolici ottusi e bigotti per cui se non chiudi i tuoi predicozzi con l’amen risulti destabilizzante; potremmo perfino pensare che tu stia dicendo qualcosa di nuovo.

    2. Mario

      Peccato che stiano cercando in tutte le maniere di imporre le lore teorie sull’omosessualità anche agli psicologi.
      Peccato che la genitorialità omoparentale sia impossibile: per mettere al mondo un bambino la specie umana ha bisogno di un maschio e di una femmina.
      Peccato che i bambini non possano difendersi da questo scempio del loro più elementare diritto: essere amorevolmente cresciuti nella loro famiglia naturale (mamma, papà, figlio)
      Avreste preferito voi non avere vostra madre o vostro padre? E allora allontanatevi dai vostri genitori, ma lasciate stare i bambini.

    3. beppe

      caro paolo ” qui lo dico e lo ripeto”, la tua tiritera è veramente insopportabile. variante NATURALE e NORMALE! felicità negata ecc : i bambini non sono giocattoli, lo vuoi capire? accontentati di qualche gattino! giù le mani dai bambini! sennò ti taglio le unghie!

  6. Andrew

    Ogni giorno che passa la dittatura gay perde dei pezzi, si sgretola sempre di piú, detto questo, cosa ne sará di quest’opera tra qualche anno?

    1. francesco 2

      andrew lo capisci che questo è un film e che le conclusioni di questo articolo sono totalmente arbitrarie?
      è un film racconta solo una delle migliaia possibili storie di alcune persone

      1. Andrew

        é un film di propagnada gay e non vuole raccontare semplicemente una storia

        1. francesco 2

          no è un film.
          mica i 10 comandamenti o mosè o fatima o tutti gli altri film tratti da storie della bibia o della tradizione cattolica sono film di propaganda… anche se lo sembrano molto

  7. francesco 2

    va bè e pinocchio è un film che come morale ha che si dovrebbero comprare i mobili di ikea… certo che se uno non ci capisce molto e vuole per forza trovare il significato che vuole lui lo fa.
    i matematici dicono dei numerologi che il 6 lo puoi fare uscire da qualsiasi numero, intendendo che se sei abbastanza fantasioso puoi trasformare qualunque cosa in qualunque altra coso

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