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«La trattativa Stato-Mafia così come ne parlano i giornali non è mai esistita»

Lunedì su La7 è andato in onda un dibattito sui presunti accordi occulti del '92: ospiti in studio Nicola Mancino, Pino Arlacchi e Claudio Martelli. Che sono stati anche protagonisti di numerose autosmentite.

Chiara Rizzo
18/07/2012 - 8:26
Interni
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Una lunga maratona televisiva conclusasi ben oltre l’una di notte: lunedì sera su La7 è andato in onda lo Speciale film cronaca, presentato da Enrico Mentana. Si è discusso con ospiti notevoli della trattativa Stato-Mafia, l’indagine che ora vede contrapposto persino il Quirinale alla Procura di Palermo. Due i protagonisti del processo di Palermo: l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino (oggi indagato per falsa testimonianza a Palermo) e l’ex guardasigilli Claudio Martelli. Una puntata scoppiettante, su cui val la pena di meditare.

Durante la trasmissione i tre ospiti si sono trovati d’accordo su un punto: la trattativa Stato-Mafia non è quella di cui parlano i giornali. A esplicitarlo per primo è stato Pino Arlacchi (nella foto), che nel ’92 era consulente del ministero dell’Interno: «Se la trattativa Stato-Mafia di quegli anni è quella di cui parlano i giornali, certamente non è mai esistita. Se si intendono i rapporti confidenziali tra ufficiali di polizia e di carabinieri con mafiosi di vario rango, allora chissà quante trattative c’erano». Ma allora perché i giornali continuano a parlare della Trattativa come di un accordo occulto e illecito? Anche Liliana Ferraro, braccio destro di Giovanni Falcone nel ’92, ha smentito la versione che i giornali propinano. Secondo quanto dichiarato da Claudio Martelli, lei sarebbe stata la prima ad apprendere dai carabinieri di incontri con il sindaco mafioso Vito Ciancimino subito dopo la strage di Capaci. Ecco come Ferraro corregge invece Martelli, davanti alla Commissione antimafia (dopo aver ribadito le stesse cose anche in aula a Palermo, nell’estate 2010): «Come ho riferito all’Autorità Giudiziaria, il Capitano De Donno non mi parlò affatto di “trattativa”, né io ebbi percezione alcuna che mi stesse riferendo qualcosa di diverso dal comune tentativo di convincere un appartenente all’organizzazione a collaborare, così come previsto dalle norme sui collaboratori di giustizia».

Ieri su La7, dopo l’intervento di Arlacchi, secondo cui «si dà per scontato l’esistenza di un negoziato tra Stato e mafia che in quegli anni era l’unica opzione non realistica e impossibile», perché «la forza dell’antimafia al sud e mani pulite al nord davano colpi micidiali agli assetti di potere di cui la mafia era parte», interviene Martelli: «La parola trattativa è impropria, sono d’accordo, e comunque non ho mai immaginato che ci fosse un tavolo a cui si sedevano di qua i mafiosi di là lo Stato e si mettessero a negoziare, questa è una visione ridicola». Anche se in apertura di trasmissione Martelli parlava addirittura di «coesistenza, coabitazione». Non solo. Sulla trattativa Arlacchi, Martelli e Mancino hanno esposto tre tesi diverse. Per Martelli «c’è stata una strategia parallela» al contrasto politico alla mafia che lui conduceva, un’azione «non di due quaquaraqua, ma di due importanti ufficiali dei carabinieri (Mori e De Donno, ndr.)» che presero contatti con Ciancimino, «e a Ferraro chiesero una copertura politica». Per Mancino bisognerebbe distinguere tra tentativi singoli e l’azione dello Stato. Per Arlacchi, infine, il tentativo di Mori era solo di natura investigativa, in una sorta di “concorrenza” tra il Ros di cui era membro di spicco il generale e la Dia a cui erano delegate le indagini mafiose. Secondo Arlacchi, in quel momento storico né Vito Ciancimino, arrestato da Falcone dall’84, né Mori avevano il potere di intavolare una trattativa: «Le due identità che avrebbero dovuto fare la trattativa erano assolutamente non rappresentative». L’unica cosa certa, dopo le dichiarazioni dei tre, dunque, è che sul tema Trattativa è consentito l’uso delle parole in libertà.

Il gioco dei sepolcri imbiancati, però, non finisce qui. Pino Arlacchi, ad esempio, dichiarava il 27 luglio 2009 alla Stampa: «I contatti tra investigatori particolarmente audaci e boss della mafia sono sempre esistiti e sono esistiti patti e accordi. In quegli anni [di Trattative] ce n’erano addirittura tre o quattro ed erano intrattenute da centri marginali dello Stato. Ma marginali non vuol dire ininfluenti: era gente che stava nei servizi, nei Ros». È diverso pure dall’Arlacchi che ridimensiona e centellina le parole davanti ai pm palermitani nel settembre dello stesso anno: «Nell’intervista con “Ros” intendo riferirmi al colonnello Mori, sospettavamo che vi fosse un’azione di depotenziamento delle indagini della procura di Palermo. (…)La spaccatura era fra chi aveva deciso la strada maestra, dritta e trasparente dei pentiti sottoposti al vaglio della magistratura, e di chi continuava con il vecchio metodo dei confidenti e del rapporto fiduciario e incontrollato delle fonti». Non si parla di patti né di reati: ma di diversi metodi investigativi. Una correzione simile a quella di Martelli, rispetto alle precedenti dichiarazioni televisive ad Annozero. Nel 2010 ha detto in aula a Palermo: «Se avessi saputo di una trattativa l’avrei certamente denunciato» ha detto per far capire che di accordi tra stato e mafia lui non sapeva. Ma allora perché entrambi lanciano il sasso delle accuse sui media, per poi autosmentirsi davanti alle telecamere? Le domande restano aperte.

Tags: Claudio MartelliGiorgio NapolitanoGiovanni FalconeLiliana FerraromafiaMario MoriNicola Mancinopaolo borsellinoprocura di Palermotrattativa Stato-Mafia
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