La tragedia del Venezuela, sempre più povero e abbandonato a se stesso
Il Venezuela che va alle urne domani, domenica 21 novembre, per scegliere sindaci e governatori è ufficialmente il paese più povero dell‘emisfero occidentale. Con il 76,4 per cento della popolazione che vive con meno di un euro al giorno, secondo le proiezioni rese note dal Fondo Monetario Internazionale, nel 2021 supererà persino Haiti nella graduatoria mondiale della povertà.
Fuga dal Venezuela
Un dato assurdo se si pensa che Caracas ha le maggiori riserve di greggio al mondo che, se fossero distribuite ai 26 milioni di abitanti rimasti in patria (sei se ne sono andati nella più grande diaspora di sempre nelle Americhe) ne farebbe un popolo di milionari. Invece questo popolo, composto anche da un milione di oriundi italiani, è costretto da quasi un decennio – a voler essere precisi dal 2013, quando il presidente Nicolás Maduro è arrivato al potere – a convivere con un’economia disastrata a causa delle folli politiche di un regime che si ispira alla dittatura cubana.
A Caracas lo stipendio base è ormai precipitato infatti a tre euro al mese, il più basso al mondo. «Se non ci fossero i soldi che mi invia mio figlio dalla Florida – racconta Maria Fernanda, una pensionata 65enne di Maracaibo – sarei già morta di fame». Certo, il regime elargisce un po’ di sussidi a tutti coloro che hanno il “Carnet de la Patria”, una sorta di bancomat biometrico che garantisce a chi vota per il governo casse alimentari una tantum, in teoria un paio al mese. Ma non basta. Con un’inflazione che nel 2020 è stata del 3.000 per cento, le proiezioni del Fondo Monetario Internazionale per il 2021 sono del 2.700 per cento, la più alta al mondo, e questo nonostante una riforma monetaria che dal primo ottobre scorso ha tolto sei zeri alla moneta nazionale, il bolivar.
Una tragedia aggravata dalla pandemia
Una tragedia economica aggravata dalla pandemia, visto che i vaccini a queste latitudini sono fermi al palo. E poi c’è la crisi umanitaria, con i tanti prigionieri politici, 302 secondo l’ong Foro Penal che si occupa dei reiterati abusi del governo e che qualche tempo fa ha inviato una dettagliata relazione alla Commissione delle Nazioni Unite per i diritti umani. 280 sono uomini e 21 donne, 171 civili e 130 militari e c’è anche un adolescente. Tutti accusati senza prove, con processi farsa e, soprattutto, incarcerati in condizioni disumane.
Non a caso c’è un processo aperto dal 2018 presso la Corte Penale internazionale contro il Venezuela per violazione reiterata dei diritti umani e per tortura. Nel gennaio scorso la Conferenza episcopale venezuelana (CEV) aveva pubblicato un’esortazione pastorale chiedendo al governo di Maduro un «cambiamento radicale» per fermare «questo mare di sofferenza del popolo». «Data la gravissima situazione nel paese», avevano scritto i vescovi, c’è la necessità di una svolta «che richiede da parte del governo sufficiente integrità, razionalità e sentimento di amore per il paese». Inoltre la CEV aveva lanciato un appello per la libertà delle ong affinché «possano aiutare a fornire soluzioni ai vari problemi affrontati dalle comunità». Parole che naturalmente il regime di Maduro si è ben guardato dall’ascoltare.
Si prevede astensionismo record
I problemi cui fanno riferimento i vescovi nelle loro esortazioni sono enormi, basti pensare all’esodo biblico degli ultimi cinque anni, che supera ormai i sei milioni di emigrati, secondo dati Onu. Una tragedia di cui l’Occidente sembra essersi dimenticato. È in questo contesto disastroso che domani si vota in Venezuela. Si tratta di elezioni amministrative e, per la prima volta negli ultimi quattro anni, parteciperà anche gran parte dell’opposizione tollerata dal regime. L’Unione europea manderà osservatori ma, oltre alla scontata “vittoria” del regime visto che i candidati dell’opposizione non hanno avuto spazi né in tv né in radio e men che meno sui giornali, tutti controllati dal regime, si prevede un astensionismo da record, superiore al 70 per cento.
Maduro, del resto, si fa vedere sempre meno in pubblico visto che l’86 per cento dei venezuelani se ne vorrebbe liberare, a detta di tutti i sondaggi indipendenti. «Le banconote da un milione di bolivares, quelle di taglio maggiore, a Caracas non le usa più nessuno e “l’imperialista dollaro” è diventata la valuta di riferimento», spiega a Tempi Giancarlo, un italiano che vive a Caracas dagli anni Settanta del secolo scorso, quando «questo paese era un paradiso e tutti lo chiamavano il Venezuela saudita, a causa della ricchezza petrolifera, che il chavismo ha distrutto». Il voto di domenica qui «non interessa a nessuno, tanto sono tutti ladri» gli fa eco Vittorio, un altro nostro connazionale che sta seriamente pensando di lasciare il paese visto che la sua attività nel settore della ristorazione non riesce più a coprire i costi.
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