La riconquista di Sirte (e tutti i problemi che permangono in Libia)
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La notizia che il caposaldo dell’Isis nella regione di Sirte è stato spazzato via dall’azione congiunta dell’aviazione militare americana e delle milizie di Misurata operanti per conto del governo di unità nazionale di Fayez al Serraj è una buona notizia, ma rappresenta la soluzione di uno soltanto degli innumerevoli problemi che affliggono la Libia cinque anni dopo la caduta dell’ultraquarantennale regime di Muammar Gheddafi. Gli accordi di Skhirat fra le fazioni libiche in conflitto fra loro del dicembre scorso restano lettera morta, e il vittorioso assalto a Sirte dice molto più sulla direzione che la politica Usa nella regione sta prendendo che sulle prospettive di soluzione della crisi libica.
[pubblicita_articolo allineam=”destra”]Il parlamento di Tobruk, il cui braccio militare è rappresentato dalle forze del generale Khalifa Haftar, continua a negare il suo voto di fiducia al governo di unità nazionale di Serraj, e così il Consiglio di presidenza istituito dagli accordi, ratificati anche dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu, che doveva riunire esponenti dalle due entità in competizione esiste solo sulla carta. Sulla carta restano pure la struttura di comando unificata delle forze armate e delle forze di polizia: 35 mila poliziotti e 90 mila militari che non svolgono nella realtà nessuna funzione, essendo la sicurezza e il controllo del territorio nelle mani di milizie autonome che agiscono secondo la loro convenienza. In Tripolitania le milizie, a partire dalla principale che ha sede nella città di Misurata, in gran parte sostengono l’esecutivo di Serraj solo a parole, mentre nella realtà esercitano un governo di fatto delle aree sotto la loro influenza che comprende profonde complicità nel traffico di migranti clandestini verso l’Europa. Stando alle stime, fra il 30 e il 50 per cento del Pil della Tripolitania (e per riflesso anche dei bilanci delle milizie) deriverebbe attualmente dalla gestione dell’emigrazione illegale verso l’Italia.
In Cirenaica Haftar non riesce a prevalere contro varie coalizioni islamiste che gli contendono il controllo del territorio: il Consiglio della shura dei rivoluzionari di Bengasi, Ansar al-Sharia e il Consiglio della shura dei mujahidin di Derna. Gode del sostegno dell’Egitto, degli Emirati Arabi Uniti e della Francia, impegnata in un vero e proprio doppio gioco che vede Parigi schierata ufficialmente dalla parte del governo di unità nazionale di Serraj sponsorizzato dal Consiglio di sicurezza dell’Onu, mentre sul terreno appoggia l’uomo forte di Tobruk per ragioni di interesse economico (i pozzi di petrolio della regione di Ras Lanuf) e geopolitico (i rapporti col Cairo e con gli sponsor arabi del presidente al-Sisi). A questo punto però il generale non gode più del sostegno americano: indicato per lungo tempo come “l’uomo della Cia” in Libia, Haftar oggi è sospettato di intese segrete con la Russia di Putin, dove si è recato alla fine del giugno scorso e ha incontrato personalità di altissimo livello come il ministro degli Esteri, quello della Difesa e il presidente del Consiglio di sicurezza russo.
L’improvvisa iniziativa americana a Sirte si spiegherebbe con la necessità di rompere gli indugi prima che Mosca riesca a consolidare una sua influenza in terra libica. In luglio, secondo quanto si legge sul Foglio dell’11 agosto, gli Usa avrebbero ritirato il grosso dei consiglieri militari inviati presso il governo di Bengasi-Tobruk, e aumentato invece il numero di quelli di stanza presso il governo di Tripoli, che oggi stanno operando nell’area di Sirte. Dopo avere per mesi auspicato una missione militare Onu in Libia a guida italiana, senza informare il nostro governo sulle ragioni del cambio di strategia, Washington ha deciso i bombardamenti su Sirte, chiedendo all’Italia semplicemente di mettere a disposizione la base militare di Sigonella in Sicilia.
A Bengasi-Tobruk l’intervento militare contro l’Isis deliberato dall’amministrazione Obama su richiesta del governo Serraj viene qualificato di «mossa elettorale» per favorire le chances del candidato democratico alle imminenti elezioni presidenziali, Hillary Clinton. L’insinuazione è un invito a nozze per i fautori degli scenari più complottistici: alla fine di luglio dal suo rifugio presso l’ambasciata dell’Ecuador a Londra Julian Assange ha dichiarato che nell’archivio di documenti elettronici provenienti dall’email privata di Hillary Clinton resi disponibili da Wikileaks nel marzo scorso, ce ne sarebbero 17 mila relativi alla Libia che dimostrerebbero il coinvolgimento di Hillary Clinton, allora segretario di Stato, nella fornitura di armi ai gruppi ribelli siriani attraverso il consolato americano di Bengasi e una stazione della Cia attiva nella stessa città.
La Clinton, già accusata di negligenza per la morte dell’ambasciatore Christopher Stevens e di altri tre cittadini americani uccisi da terroristi a Bengasi l’11 settembre 2012, ha negato di essere a conoscenza di forniture di armi ai ribelli siriani attraverso la stazione della Cia a Bengasi, davanti a una commissione del Congresso, e se le e-mail che Assange ha messo a disposizione del pubblico dimostrassero il contrario, il candidato democratico potrebbe essere accusato di avere mentito al popolo americano. I bombardamenti Usa contro l’Isis sono iniziati una settimana dopo le dichiarazioni di Assange. Il 9 agosto il creatore di Wikileaks ha rincarato la dose, annunciando un premio di 20 mila dollari per chiunque fornirà notizie atte a incriminare chi ha ucciso Seth Rich, un membro dello staff del Comitato nazionale del Partito democratico assassinato a Washington il 10 luglio scorso. Assange lascia così intendere che l’assassinato sarebbe una delle fonti di Wikileaks e che la sua morte potrebbe avere a che fare con la rivelazione dei documenti che hanno portato alle dimissioni della presidente del Comitato Debbie Wasserman, accusata di avere favorito Hillary Clinton ai danni di Bernie Sanders durante le primarie del partito democratico.
Il pieno successo militare contro la filiale libica dell’Isis potrebbe mettere in secondo piano queste oscure vicende. Isis libica che, secondo l’inviato ufficiale dell’Onu Martin Kobler, è stata militarmente sopravvalutata, non avendo mai toccato la cifra di 6 mila effettivi avanzata da fonti americane. «I combattenti dell’Isis in Libia non si contano in migliaia», ha dichiarato al Financial Times, «ma in centinaia».
Foto Ansa/Ap
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