La ricetta per fare una scuola vera

Di Antonio Villa
14 Marzo 2021
Da quasi novant'anni ho un chiodo fisso e deriva dal fatto che sono passato dalla culla all'altare quasi senza accorgermi. Il chiodo fisso è la "religiosità"

Vorrei cercare, una buona volta, di far capire bene quello che cerco di dire “menandola” con una serie di lettere che la bontà del direttore si ostina a ritenere interessanti. Nell’ultima sembro addirittura preoccupato come un affiliato all’Accademia della Crusca. Alcuni mi accusano di fare “il misterioso” tenendo nascosta la ricetta per fare una vera scuola. Lasciatemi ridere in pace e lasciatemi citare le parole che concludono un interessante intervento Franco Viganò apparso sulla Bussola il 6 marzo scorso:

«Il drammatico e imprevedibile stato di emergenza in cui ci troviamo sta facendo venire a galla un dato di evidenza di fronte al quale non è più possibile far finta di niente: senza autonomia la scuola muore, il rigido centralismo statalista del sistema scolastico italiano è veramente al capolinea».

Non faccio il ” misterioso”. È vero, invece, che da quasi novant’anni ho un chiodo fisso e deriva dal fatto che sono passato dalla culla all’altare quasi senza accorgermi. Sto dando una spiegazione non sto cercando una giustificazione. Il chiodo fisso è la “religiosità” cioè la qualità fondamentale della vita. Se ti capita di nascere o di diventare cristiano, questa convinzione ti lega ad un modello di vita proposto qui sulla terra duemila anni fa dal Figlio dell’Eterno di cui sopra. Legato per la vita vuol dire, ad esempio, che se mi passa davanti un furbetto quando sono nella fila alla biglietteria della stazione, la mia religiosità mi proibisce anche solo il pensiero di spaccargli la testa mentre un’altra religiosità potrebbe suggerire che sia l’unica cosa da fare.

È diverso o no? Potrei dire che è tutto qui. Ma forse è più giusto tentare un esempio più vicino alla questione educativa. Tu entri in classe connotato dalla religiosità e guardi in faccia i piccoli che ti stanno di fronte, ti viene in mente che ognuno di loro è “collegato” come te allo stesso Padre Eterno? E, se la risposta è affermativa, come è possibile che la faccia strana del piccolo non ti interessa nulla dal momento che sulle carte che lo riguardano c’è scritto che è… che è… che è….

Ma tentiamo un esempio ancora più stringente: l’alunno è talmente indisciplinato che si permette un atto di “omofobia” (fa circolare la vignetta di un maschietto che passeggia, mano nella mano, con una femminuccia ben definiti nei rispettivi… contributi. OMOFOBIA! TOLLERANZA ZERO! Io, insegnante oscurantista potrei anche far finta di oppormi alla sospensione, ma non posso, non devo liberarmi dall’immagine suggerita dalla parabola evangelica detta della “pecorella smarrita”.

Ora provate a riempire il racconto lasciato volutamente incompiuto da Gesù per stimolare la comprensione del suo pensiero (cioè dal momento in cui il gregge viene abbandonato al momento in cui riappare il pastore con la pecorella sulle spalle) … dov’è finito?… dov’eri? Nel segreto era andato a cercare la pecorella!

Il nostro insegnante, nel segreto altrimenti perde il posto, si occupa del “recupero” e magari prima della fine dell’anno lo riporta in classe e lo fa accogliere da una festosità pazientemente preparata. Una festosità pazientemente preparata, secondo voi, è realizzabile se la religiosità dell’insegnante è una “etichetta” o se viene prudentemente nascosta per non offendere il diverso?

Foto di Taylor Wilcox da Unsplash

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