
La pandemia dei single

La pandemia dei single. Newsweek non poteva trovare titolo e immagine di copertina più eloquente per il numero di metà aprile: lui, lei, seduti ai piani diversi e opposti di una torta nuziale che digitano sullo smartphone “I don’t”. Non lo voglio. Bianchi, neri, uomini, donne (donne più degli uomini), millennials o della generazione Z non solo non vogliono fare figli e mettere su famiglia, ma neppure accoppiarsi. E la ragione è una sola, semplice e virale: «La vita da single è diventata più fattibile e attraente», sintetizza Robert VerBruggen, ricercatore presso il Manhattan Institute e presso l’Institute for Family Studies. Tradotto: si può vivere bene, anzi meglio, senza l’altro.
Non servono gli indovini per sapere che il matrimonio è in crisi. Basta uno sguardo ai dati: nascite e nozze giù ovunque, con un tasso di fertilità negli Stati Uniti che si schiaccia su un modesto 1,7 figli per donna – lontano dal fatidico 2,1 che garantirebbe un ricambio generazionale. I governi, dal canto loro, si affannano con bonus e incentivi ma dietro l’apparente svogliatezza riproduttiva si cela ben più di una crisi di coppia: una recessione relazionale. Nel 2023, il numero di nuclei familiari composti da una sola persona in America ha toccato i 38,1 milioni. Un anno dopo, si è saliti a 38,5: il 29 per cento delle famiglie americane. Quasi una su tre. Nel 1974 erano il 19 per cento. Quattro adulti su dieci oggi non hanno un partner.
«Trump sarà ancora presidente quando avrò superato il mio picco biologico»
Il modello sentimentale ereditato dai nonni (agli occhi dei “giovani” null’altro che “lui, lei, i figli, il cane e le rate del mutuo”) non regge più al confronto con un’esistenza individuale, iperfunzionale, iperconnessa e piena di stimoli. La recessione relazionale, insomma, non è (solo) il fallimento dell’amore romantico: è la realizzazione compiuta del consumatore autonomo e autodeterminato. L’inchiesta di Newsweek documenta tutto e bene.
Lauren Ong, 33 anni, imprenditrice a Singapore, da otto anni single, ha fondato una società di consulenza HR. «Sono una stacanovista, amo la libertà. Non ho fretta di sistemarmi né di avere figli, anche se li ho sempre immaginati». La famiglia? «Si è evoluta». Gli amici, il lavoro, i due gatti: bastano e avanzano. «Temo di morire da sola? Sì, a volte. Ma cerco di non pensarci. Credo che certe cose siano scritte nelle stelle». Sarah Ellis, giornalista trentenne di Brooklyn, dice: «Vorrei un compagno. Forse anche dei figli, ma solo se avessi più sicurezza economica. Per ora, no». Sul domani pesano le angosce geopolitiche: «Mi spaventa coinvolgere un’altra persona in un mondo così. Trump sarà ancora presidente quando avrò 34 anni. E io avrò superato il mio picco biologico».
«Avere figli è un calcolo morale», «una relazione sarebbe una distrazione»
Matt Jardine, 37 anni, ingegnere a Seattle, confessa: «Guadagno decentemente, ma mi sento fragile. Se mi ammalo o perdo il lavoro, è finita». L’ideale comunitario dell’infanzia (“ci vuole un villaggio per crescere un bambino”) evapora nella geografia: «I miei genitori vivono a 4.800 chilometri. Gli amici non sono un asilo nido. Avere figli potrebbe amplificare il mio impatto sul mondo, ma è un calcolo morale che ognuno deve fare per sé».
Arianna Dilauro, 32 anni, lavora all’Onu a Berna. Italiana, espatriata, esperta di parità di genere, non ha mai avuto una relazione stabile. «Ho incontrato le persone sbagliate. E poi la carriera, le scelte, lo stile di vita: una relazione ora sarebbe una distrazione». Da bambina sognava una famiglia. Ora è esattamente dove vuole essere. Nessun rimpianto, dice.

«La cultura ha glamourizzato la vita da single», «i giovani si relazionano con meme e reels»
E poi c’è il tema: restare single non è solo una scelta. È anche uno status sociale che ha guadagnato fascino. «Il matrimonio è stato posticipato. La cultura ha glamourizzato la vita da single», spiega ancora VerBruggen. Serie come Friends e Sex and the City hanno venduto a una generazione l’idea che la libertà sia sexy, e la stabilità noiosa. Carrie Bradshaw, con le sue Manolo Blahnik, è diventata più desiderabile della casalinga con il Suv. E poi le donne, ad ogni intervista, confermano: stanno benissimo da sole, sono indipendenti, guadagnano, decidono. Non cercano più un marito che faccia da stampella economica. E gli uomini? Alcuni, dice VerBruggen, sono rimasti indietro: senza lavoro stabile, poco appetibili sul “mercato” del matrimonio. La working class maschile si sta ritirando dalla scena, senza nemmeno un grande addio.
Nel frattempo, la tecnologia ha stravolto il modo in cui ci conosciamo – e forse, anche quello in cui ci amiamo. «Sebbene i social media ci offrano un mondo immenso a portata di mano, possono anche isolarci da quello reale. Molti ricercatori concordano sul fatto che giochino un ruolo fondamentale nelle persone che faticano a costruire relazioni nel mondo moderno», scrive Newsweek. Meme e reels sono diventati il nuovo codice affettivo, il linguaggio dell’amore tra i ragazzi. «La vita sociale dei giovani è cambiata», dice VerBruggen. Cambia il loro modo di interagire, stiamo insieme, ma separati da uno schermo. Tinder promette orizzonti infiniti, ma genera anche cinismo. A forza di vedere tutte le opzioni, nessuna sembra più abbastanza.
Lo smartphone favorisce la vita da single
A complicare le cose, ci si è messo anche il post-adolescenza a oltranza: debiti universitari, stipendi bassi, ritorni a casa con mamma e papà. Come ricorda Kent Bausman, sociologo a Saint Louis, «il matrimonio non è più un rito di passaggio, ma un’esperienza di coronamento». Prima il successo, poi (forse) l’amore. Il problema? Il successo è un miraggio per molti. E quando si è troppo occupati a inseguirlo, l’amore resta in attesa. Indefinita. «Un altro fattore che sta favorendo la vita da single è la crescente dipendenza dai dispositivi elettronici, che causa questa crescente disconnessione», quello di “formare una famiglia “non è più un sogno.
Nel panorama odierno, l’emancipazione femminile ha fatto un passo significativo, tanto che l’idea di ciò che le donne possano realizzare si è ampliata oltre ogni previsione. Non è più solo questione di scalare la scala sociale: il mondo sembra ora aperto a tutte, a patto che si sia disposte a prendersi il proprio posto. «Un Rinascimento per le donne», l’ha chiamato Bausman. Non è solo l’accesso a carriere e libertà personali a cambiare, ma anche la percezione di ciò che una donna può essere. La domanda che sta a monte è: ha davvero senso il lavoro domestico come scelta professionale? «Credo che oggi ci sia uno stigma nei confronti di questa opzione», aggiunge Bausman. «Le ragazze possono aspirare a essere tutto ciò che desiderano».
«Mi sono presa del tempo per concentrarmi su me stessa»
Quello che però emerge dai racconti di altre intervistate è però una ben contraddittoria riflessione sul concetto stesso di realizzazione. Jessica Turley, 33 anni, responsabile dei social media a Bristol, ha scelto di essere single. Non per una delusione d’amore, ma per una decisione ben ponderata: «Mi sono presa del tempo per concentrarmi su me stessa», racconta. «Non sento la pressione di dover cercare un partner. Mi godo la vita da sola». In fondo, sostiene, ha avuto il tempo di capire cosa desidera davvero, e non è detto che la formula del “mettere su famiglia” le appartenga.
E così Ziting Yu, 29 anni, contabile a Shenzhen, non ha mai avuto il desiderio di avere figli. «Dicono che una donna senza figli non sia completa. Ma io non la penso così», afferma. «Mi piace vivere da sola. Il mio tempo è mio». Certo, Ziting si preoccupa del futuro e, come molte donne della sua generazione, teme di trovarsi sola, invecchiando senza un figlio su cui contare. Ma quel futuro, dice, è tutto da scrivere.
«Sarò single anche tra dieci anni. Non c’è bisogno di avere figli»
Simile è il discorso di Vanessa Liu, 33 anni, pasticcera a Taichung, Taiwan: «Sono un’introversa che non sente il bisogno di trovare quella persona», spiega senza retorica. «Mi piacciono i bambini, ma non riesco a immaginarmi ad averne. Non c’è bisogno di avere figli per avere una vita piuttosto entusiasmante. Probabilmente sarò ancora single tra dieci anni. Non credo che avrò figli. Se potessi cambiare una cosa, preferirei un mondo senza opinioni consolidate su relazioni, matrimonio o famiglia, dove tutti siano accettati».
Scelte individuali e aspettative collettive fanno a cazzotti. Come spiegato da Naho Ogaki, 26 anni, infermiera di Hiroshima, «Sono single da oltre tre anni, semplicemente perché non ho ancora incontrato la persona giusta». In Giappone, ricorda, le donne devono fare spesso una scelta difficile: carriera o maternità. La prima sembra inevitabilmente sacrificata dalla seconda. Naho spera che, in futuro, una maggiore parità nelle politiche familiari possa permettere alle donne di conciliare entrambe le cose. «Un congedo di paternità più lungo aiuterebbe le famiglie a avere figli più facilmente e le donne a tornare al lavoro», spiega, rivelando quanto la struttura sociale e le politiche pubbliche influiscano sulle scelte individuali.

Mai così pochi figli e matrimoni nel mondo
Il calo dei tassi di natalità non è una questione che riguarda solo un angolo del mondo. È una crisi globale. Dai tassi di fertilità più bassi registrati nel Regno Unito, con 1,4 nascite per donna nel 2023, all’emergenza demografica in Italia, con un tasso che si attesta su un preoccupante 1,1, il declino della natalità è ormai un dato di fatto. La Spagna, con 1,2 figli per donna, è arrivata al minimo storico dal 1941. E se guardiamo al panorama internazionale, la Corea del Sud, con il tasso di fertilità più basso al mondo, a 0,75 nascite per donna, è una cartina di tornasole per una tendenza che non sembra arrestarsi.
La popolazione giapponese è in declino da quindici anni, e si prevede che, tra secoli, il Paese possa rimanere senza bambini. Il ministero degli Esteri giapponese ha avvertito che il paese ha tempo fino al 2030 circa prima che la tendenza diventi irreversibile. La Cina ha registrato solo 6,1 milioni di matrimoni lo scorso anno, con un calo del 20,5 per cento rispetto al 2023, spingendo a richieste di abbassamento dell’età legale per il matrimonio, attualmente fissata a 22 anni per gli uomini e 20 per le donne.
Famiglie più piccole, isolate e case per single
Inutile girare intorno alle conseguenze. Bausman ricorda che una popolazione sempre più anziana, con un numero insufficiente di giovani a sostenerla, potrebbe comportare «gravi tensioni sulla forza lavoro, sui sistemi sanitari e previdenziali». L’isolamento sociale, prodotto dalle famiglie più piccole e dalle reti di supporto intergenerazionali più deboli, è un altro aspetto preoccupante. «Matrimoni tardivi e meno figli possono contribuire ad aumentare l’isolamento sociale, con la riduzione delle reti di supporto familiare», «stiamo assistendo a una rinascita delle famiglie multigenerazionali, come non si vedeva negli Stati Uniti dal XIX secolo».
Se le famiglie si rimpiccioliscono, la necessità di riforme radicali nel settore sociale diventa sempre più evidente. E il mercato immobiliare potrebbe risentirne, sostiene Richard Fry, economista del Pew Research Center, che rileva un aumento della domanda di alloggi per single, spesso meno abbienti rispetto alle coppie. Le dinamiche sociali si riflettono così anche sul piano economico e urbano.
La perdita dell’esperienza umana fondamentale di crescere i figli
E veniamo alla domanda: si può invertire la tendenza? Se è vero che politiche come bonus bebè, congedi parentali e incentivi fiscali hanno avuto impatti limitati, Bausman insiste che ridurre i costi percepiti nella formazione di una famiglia potrebbe essere la chiave per stabilizzare il declino demografico. Più radicale la proposta di VerBruggen: un cambiamento culturale che ponga la procreazione al centro della nostra identità sociale. «In sintesi, il futuro della società dipende dalla nostra capacità di avere figli. Nel breve termine, perdiamo l’esperienza umana fondamentale di crescere i figli. Nel lungo termine, le società si ridurranno e alla fine collasseranno».
L’inchiesta di Newsweek costringe a fare i conti con una questione radicale: in un mondo iperconnesso, eppure sterile, chi è diventato l’altro e cosa resta della speranza e del desiderio di lasciare qualcosa a qualcuno?
«Mettere al mondo bambini c’entra col significato che diamo alla vita»
Davvero è un destino “la pandemia dei single” oggi che si è “patologizzata” l’esperienza umana al punto di descrivere matrimoni e relazioni come arnesi obsoleti, la maternità come frutto di una superatissima impostazione patriarcale e la genitorialità come frustrazione quando non crimine ecologico?
Il punto è avere il coraggio di arrivare al nocciolo della questione. Come ricordava a Tempi Matteo Rizzolli, professore associato di Politica economica alla Lumsa di Roma ed esperto di natalità non dobbiamo girarci intorno: «Una società capace di figli è capace di bellezza, vivacità, speranza. La fiducia nel dare vita a dei bambini (o la perdita di fiducia nel metterli al mondo) non è una operazione intellettuale: ha a che vedere col significato che diamo alla vita oggi».
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