Siamo all’inizio della terza Guerra mondiale? Perché Trump ha fatto quel che ha fatto? Sono filoamericano, non ho nessuna simpatia per il regime iraniano, capisco bene che Qasem Soleimani non era uno stinco di santo, implicato in varie azioni di guerra e massacri in Medio Oriente, ho sempre parteggiato per Israele e “difendo il suo diritto di difendersi”, ma la mossa del presidente americano mi sembra foriera di sciagure. Mi sembra tornato d’attualità il vecchio slogan “Sì all’America, no alla guerra”.
Angelo G. Tamburelli, via email
Caro Angelo, condivido il tuo punto di vista e le tue perplessità. Come ci ha detto Gian Micalessin questa è una dichiarazione di guerra e nella mossa del presidente Usa c’è probabilmente un calcolo di politica interna. Tra i tanti commenti apparsi sugli organi di informazioni pubblicati in questi giorni, ti segnalo quello di Gianandrea Gaiani, direttore di AnalisiDifesa, che contiene molte informazioni e giudizi utili a farsi un’idea. «L’enormità di quanto è accaduto a Baghdad non può essere sottovalutata anche in termini di rispetto della sovranità di uno Stato amico degli Stati Uniti. Come reagiremmo se aerei statunitensi decollati da Aviano o Sigonella colpissero alti ufficiali italiani e di un paese amico di Roma bombardando i loro veicoli all’aeroporto di Fiumicino?», si chiede, secondo me giustamente, Gaiani. C’è poi la situazione dei cristiani in quelle terre che, come ha già detto il patriarca Sako, si farà inevitabilmente più difficile (se non disperata). E a proposito di quel vecchio slogan, fa sempre bene rileggersi come lo interpretava Lorenzo Albacete ai tempi del conflitto in Iraq (come si vede, è una vecchia storia).
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Carissimo direttore, da lettore di Tempi fin dal suo primo numero, sono convinto che quello di questo dicembre sia uno dei più intensi di vita e di giudizio mai pubblicati. Ho iniziato a leggere i “Te Deum” con l’inconscio retropensiero che avrei avuto a che fare con tante riflessioni religiose; la cosa mi pensava perché sono sempre stato un po’ refrattario (non me ne vanto certo!) ai temi specificamente religiosi. Invece mi sono trovato a leggere di amici, montagne, guerre, sport, scuole, ospedali, boschi, musica, storie d’amore, storie di carcere, storie di incendi, storie di eroi. La vita insomma. Una documentazione impressionante di come la fede trasforma la vita, personale e sociale. In realtà l’articolo che più mi ha intrigato è “Liberaci dal Var” di Roberto Perrone. Sono appassionatissimo (e, modestamente, molto competente) di calcio ed ho una mia convinzione chiara, e decisamente positiva, sul Var; perciò ho letto l’articolo con molta curiosità. Perrone ha avuto la straordinaria capacità di farmi riflettere su un contenuto “frivolo”, mettendo in gioco categorie di giudizio decisive per il mondo presente.
Mi limito ai tre passaggi che ritengo costituiscano il fulcro dell’articolo:
- “Il Var cambierà il calcio”. L’apodittica affermazione ha accompagnato l’introduzione-intrusione della moviola sui campi, insieme con amenità tipo “la fine delle ingiustizie” che sta al calcio come “la fine della storia” sta alla storiografia, o “la fine della povertà” sta alla politica del balcone, cioè tutte affermazioni appartenenti alla categoria delle cagate pazzesche.
In sintesi: quando l’uomo crede di aver trovato la formula giusta per eliminare l’errore dall’esperienza, dà inizio ad una catena di errori impressionante. È la sintesi della storia del secolo scorso e, probabilmente ancor più, dei primi 19 anni del presente.
- Due anni dopo (l’introduzione del Var), assistiamo, ogni maledetto weekend lungo, al festival dell’usato sicuro della polemica. Negli stadi i soliti cori, oltre a quelli nefasti: “Arbitro venduto”, “Sapete solo rubare”, “Ladri, ladri!” urlati ai colpevoli di turno, al nemico favorito dalla classe arbitrale. Odo presidenti che chiedono “rispetto”… Allenatori che tengono il conto dei torti subiti. Giornali che stilano classifiche alternative, con o senza quel rigore.
Insomma: non è cambiato proprio nulla! E perché?
Eppure, con tutte queste immagini,con tutti questi video assistenti e moviolisti, con il Var e l’Avar, si continua a sbagliare e soprattutto a litigare. Perché, malgrado le immagini, non conta la verità ma la disciplina di partito. E di tifo.
In sintesi: O si è disposti ad “Amare la verità più di se stessi”(questa citazione non è di Perrone ma di Don Giussani), oppure gli uomini si ritrovano impossibilitati ad intendersi e viene meno ogni capacità di positiva costruzione sociale.
Penso sia la ragion d’essere di un giornale come Tempi: proporre ipotesi di giudizio su ogni aspetto della realtà – anche su quelli a prima vista del tutto marginali – rifacendosi alle questioni decisive per la vita della persona e della società.
Franco Viganò, via email
Caro Franco, Roberto Perrone è il nostro aedo pallonaro, un re mida del giornalismo che ogni cosa che tocca rende oro (non solo per il calcio, hai mai letto la sua ode al capocollo?). E sì, hai ragione: l’intento di Tempi è proprio quello di parlare di tutto sempre partendo dalle questioni che riteniamo decisive per noi e per tutti. Come scrivemmo una volta: Gesù Cristo e lubrificanti industriali.
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Anche io vorrei dire il mio Te Deum. Eccolo: Caro Dio onnipotente proteggici sempre nel 2020 e sii buono con noi. Regalaci un anno bello ed emozionante e proteggi tutte le persone cui vogliamo bene.
Benedetto Frigerio, via email
Il mitico Ben non perde un colpo.
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Grazie per il numero del Te Deum, davvero bellissimo. Solo una perplessità: ma perché mi è arrivato solo a gennaio?
Claudia Sottili, via email
Bella domanda, che andrebbe girata alle Poste. Il mensile arriva agli abbonati verso la fine del mese. Purtroppo, soprattutto a dicembre e ad agosto, il recapito tende a ritardare. In ogni caso, per ogni problema chiamate in redazione o scrivete ad [email protected]. Ricordiamo che, comunque, chi è abbonato riceve una email che lo avvisa quando il nuovo numero è disponibile per la lettura sulla nostra piattaforma digitale.