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La guerra dell’odio in Bangladesh e tre domande su islam, petrolio e Occidente

La situazione politica e sociale è drammatica. Storia e attualità di uno dei paesi più poveri del mondo raccontata da un grande giornalista missionario

Piero Gheddo
20/01/2014 - 11:14
Esteri
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Tratto dal blog di Piero Gheddo – Da poco meno di due anni il Bangladesh, il terzo paese islamico più popolato dopo Indonesia e Pakistan, è in preda ad una “guerra dell’odio” (com’è stata definita) che sta affossando l’economia e il vivere civile. Non è una guerra di eserciti, ma un susseguirsi di scioperi e manifestazioni spesso violenti, che bloccano i trasporti e paralizzano l’economia di base; scioperi generali di più giorni dalle 6 alle 18 e i veicoli che si muovono rischiano di essere bruciati, i viaggiatori battuti o uccisi. Il Bangla è uno dei paesi più sfortunati e poveri del mondo: 160 milioni di abitanti in un territorio esteso meno di metà dell’Italia, con un reddito medio pro-capite di 678 dollari l’anno (l’Italia 36.250). Due anni di scioperi (hartal) e di scontri stanno riducendo il popolo alla fame e numerose ditte chiudono perché non riescono più a vendere. Ogni giorni i caseifici buttano via circa 500.000 litri di latte invenduto, frutta e verdura marciscono sugli alberi o nei campi, le farmacie non hanno medicine, le ditte straniere che non possono esportare stanno lasciando il paese. La stessa sopravvivenza di un popolo è in pericolo!

Tutto nasce dalla guerra per l’indipendenza del Bangladesh dal Pakistan nel 1971, condotta dalla Awami League, moderata, laica e socialista, il cui capo Mujibur Rahman diventa il primo Presidente, con un popolo festante e unito contro le prepotenze dei pakistani. L’Occidente salutava il primo paese islamico con libertà politica, religiosa e di stampa. Nel 1975 Mujibur Rahman è ucciso e seguono lunghi anni di dittature militari, che favoriscono l’islam e l’entrata in scena dei partiti islamisti. Il Bnp (Bangladesh National Party) all’opposizione li accoglie, specialmente la Jamaat-islam, poichè il popolo è contrario al laicismo e a forme di modernità e di libertà non secondo la tradizione islamica. Si formano così due coalizioni di partiti, la Awami Leage capeggiata da Sheik Hasina (figlia del padre della patria Mjibur Rahman) e il Bnp di Begum Khaleda Zia (figlia del primo dittatore militare Zia-ur Rahman), due donne che si fronteggiano da venti e più anni, nemiche irriducibili e mortali (“si odiano cordialmente” dice la gente).

Le elezioni del 1991 sanciscono il ritorno alla legalità costituzionale e si alternano al potere le coalizioni del BNP e dell’Awami League (AL). Intanto, arrivano copiosi e continui finanziamenti dai paesi del petrolio (Arabia, Kuwait, Qatar, ecc.), nascono piccole moschee in ogni angolo del paese e in ogni via cittadina, crescono le scuole coraniche, gli imam che guidano la preghiera del venerdì martellano sul concetto che l’unica soluzione alla crisi è un ritorno all’islam duro e puro dei tempi di Maometto, con i costumi di allora, lapidazione, taglio della mano, fustigazioni, la condizione della donna oggi inaccettabile. Nel 2008 la coalizione dell’AL stravince le elezioni e conquista tre quarti dei seggi parlamentari. Seguono anni di dominio indisturbato e occupazione dilagante degli spazi politici, amministrativi, giudiziari ed economici da parte dell’AL e dei suoi alleati. Errore fondamentale: il governo AL avvia processi a personalità dell’islam, accusate di crimini nella guerra del 1971; tutto lo stato maggiore del Jamaat-islam e di qualche pezzo grosso del Bnp finiscono in carcere, avanzano le proposte di condanne a morte, il predicatore più popolare del Jamaat è condannato all’ergastolo. I partiti islamisti organizzano manifestazioni e scioperi di protesta, il governo risponde con durezza e prepara la messa al bando dei partiti islamici, vuol cambiare la Costituzione e la scadenza elettorale a proprio favore. Il Bnp segue la corrente del Jamaat e degli altri partiti islamici della coalizione, facendo leva sulla corruzione dei quadri dell’AL.

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Questa sceneggiata avviene soprattutto nelle città, il popolo dei campi subisce ma, vivendo nella miseria e nell’analfabetismo (43% dei bangladeshi), è anche pronto a seguire la corrente islamica, gli imam dei villaggi hanno importanza decisiva, i giovani conoscono solo l’islam imparato nelle madrasse. I moderati, studenti, intellettuali e classe media, organizzano anche loro proteste e scioperi, chiedono la condanna a morte di tutti i criminali di guerra, la messa al bando del Jamaat e degli altri partiti islamisti, il ripristino della Costituzione con la quale è nato il Bangladesh, secondo la quale il Bangla è un paese laico che gode di libertà religiosa e politica. I partiti islamici chiedono la condanna a morte degli “atei” che vanno contro l’islam.

Dalla primavera 2013 continua questo braccio di ferro fra laici ed estremisti islamici, i militari per il momento non intervengono e il Bangladesh sta diventando un paese sempre più invivibile per tutti. Le elezioni politiche del 5 gennaio 2014 hanno registrando la vittoria con ampio margine dell’Awami League già al governo, ma la coalizione del Bnp si era ritirata e al voto hanno partecipato circa il 18% degli aventi diritto, poiché gli islamisti avevano minacciato chi si recava al voto. Giungono notizie di cattolici e indù picchiati o uccisi mentre andavano a votare, fra le vittime anche il fratello di un vescovo; assaltati villaggi, bruciate case ed edifici religiosi.

La situazione del Bangladesh è drammatica e sintomatica della situazione in cui si trovano le comunità islamiche nel mondo globalizzato e pongono tre interrogativi. Primo: ritornare all’islam puro e duro dei tempi di Maometto o accettare di rileggere e interpretare il Corano e gli “hadit” di Maometto per trasferire una grande religione nel mondo moderno? Secondo: è tollerabile che gli immensi, smisurati capitali che provengono dal petrolio continuino a guidare pesantemente la politica di quasi tutti i trenta e più paesi dell’islam e anche le comunità islamiche minoritarie in altri paesi? Terzo: perché questi temi sono praticamente tabù nei mass media internazionali?

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Tags: BangladeshCristianiindonesiaindùIslamPakistanpiero gheddo
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