Silenziosa, la guerra in Cecenia monta giorno dopo giorno. Qualsiasi bilancio accurato è impossibile. Contrariamente a quanto avvenne nel 1994-1995 l’esercito russo ha accuratamente sigillato i confini di Inguscezia e Daghestan. Da lì sono fino ad oggi fuggiti circa duecentomila profughi. Pochissimi giornalisti sono riusciti a seguire il percorso inverso. L’ultimo a provarci, líinviato del Times di Londra, è stato arrestato e rispedito a casa la due settimane fa. Le frammentarie notizie che riescono a perforare la cortina di silenzio caduta sul conflitto ceceno non sono comunque incoraggianti. Una volta di più la popolazione civile sembra essere la vittima predestinata di questa guerra. I russi parlano di bombardamenti chirurgici volti a colpire le basi della guerriglia islamica, ma le poche immagini uscite dalla Cecenia mostrano villaggi rasi al suolo, donne, bambini e anziani uccisi dalle bombe. La loro sorte del resto interessa ben poco sia ai russi, sia ai leader delle forze islamiche. Contrariamente a quanto avvenne nel 1994, il Cremlino e in particolare il suo uomo forte, il primo ministro Vladimir Putin, possono contare sul pieno appoggio della pubblica opinione. Gli attentati dinamitardi che lo scorso settembre hanno distrutto una serie di condomini russi sono stati definitivamente attribuiti al terrorismo ceceno anche se nessuna organizzazione li ha mai rivendicati. Questo ha contribuito a rinsaldare il pregiudizio, condiviso da larga parte dei russi, secondo cui i ceceni sarebbero un popolo di banditi. Oggi sulle televisioni e sui giornali russi, a diferenza di quanto avveniva nel 1994/95, non un solo inviato mette in dubbio l’efficacia chirurgica dell’intervento armato. La leadership politica e l’opposizione russa sono in attesa di due eventi fondamentali per il futuro del paese: le elezioni parlamentari di dicembre e quelle presidenziali della prossima estate. Chiunque voglia garantirsi il sostegno della pubblica opinione non può per il momento permettersi il lusso di criticare le incursioni armate su Grozny. Dall’altra parte sulle montagne cecene Shamil Basaiev, indiscusso leader delle fazioni islamiche ma anche avversario politico del presidente ceceno Aslan Maskhadov, ottiene grazie ai raid russi sempre maggior seguito. L’esasperazione e la paura di chi è costretto a lasciare i propri villaggi portano nuove reclute e nuovi volontari tra le fila delle formazioni islamiche. Ogni bomba e ogni incursione aerea non fanno che alimentare il secolare odio per Mosca. Riforniti e finanziati dalle sette wahabite di cui è emissario l’enigmatico comandante di origine giordana Khattab (compagno e consigliere di Basaiev) le forze islamiche puntano a fare della zona un caposaldo per la penetrazione in tutto il Caucaso. Un appuntamento che ha già una data precisa. Dopo le elezioni per la successione a Eltsin in assenza di una leadership forte la Russia rischia di cadere nel caos. Questo sarà il momento decisivo per Basaiev e compagni che chiusi nei loro inaccessibili rifugi tra le montagne non temono, per il momento, le incursioni delle truppe di Mosca. La guerra in corso in fondo non è che un addestramento. Per gli sfortunati civili ceceni il peggio deve ancora venire.
Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994
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Emanuele Boffi