La Gran Bretagna fra dubbi europeisti e le difficoltà del premier Cameron

Di Massimo Giardina
17 Gennaio 2013
Malcontento per le misure adottate da Cameron: necessarie, ma che non hanno portato ai risultati sperati. E ricomincia il dibattito sulla convenienza di rimanere nella Ue

Il primo ministro britannico David Cameron è chiuso tra due forze che stanno minando la sua già precaria stabilità. Da una parte vi sono le misure di austerity adottate dal Governo, dall’altra un forte problema di consenso, dovuto al fatto che il popolo della Regina non ha apprezzato molte delle misure intraprese dall’esecutivo.

POLITICA. Le ultime posizioni di Davis Cameron sull’opportunità di rimanere o meno in Europa si possono leggere come il tentativo di riguadagnare popolarità. Nel frattempo si è accesa la polemica politica tra i Labour e i Tory; Downing Street ha replicato facendo sapere che «se si vogliono riprendere i poteri dall’Europa occorre votare conservative, se si vuole dare ulteriore potere all’Europa, votate laburista». Le posizioni sull’appartenenza all’Unione Europea registrano un tira e molla a seconda del momento. Tanto è vero che, sempre Cameron, ha dichiarato essere sua convinzione che è meglio che «la Gran Bretagna rimanga nell’Unione Europea», anche se «dobbiamo vedere i cambiamenti in corso in Europa e assicurarci di promuovere i cambiamenti che la Gran Bretagna ha bisogno di veder realizzati. Questo porterà ad un migliore rapporto tra la Gran Bretagna e l’Europa». Quel che vuole il premier, insomma, è «una Ue meglio organizzata con il pieno supporto del popolo britannico».
Anche all’interno del suo partito, Cameron devo confrontarsi con posizioni diverse; fra quelle di maggior prestigio e peso va annoverata l’opinione del sindaco di Londra Boris Johnson che vuole uscire dall’Europa per rientrarci con un patto più leggero in termini di obblighi.

ECONOMIA. Sta di fatto che la Gran Bretagna non sta attraversando uno dei suoi migliori periodi: grandi problemi si registrano nella gestione dei costi nel sistema sanitario e assistenziale – vi sono dei casi di incentivi alle famiglie che durano da due o tre generazioni. Per questo Cameron sta cercando di far quadrare i conti mettendo in atto una serie di controlli, che – se sul piano dei risultati hanno dato i loro frutti, in termini di consenso hanno generato malcontento.
La Gran Bretagna da più di un decennio ha focalizzato la propria economia nel settore terziario (circa il 75 per cento del Pil) e la crisi ha pesato ulteriormente sui conti pubblici. Il Pil, secondo il Fmi, è pressoché stabile dal 2006 e gli investimenti in rapporto al prodotto interno sono scesi dal 18,23 per cento registrato nel 2007 al 14,84 per cento del 2011. I tagli applicati dal Governo avrebbero dovuto avere un controaltare nella ripresa dell’export che però non è avvenuta soprattutto nell’area Bric e il risultato è una bilancia commerciale negativa.

@giardser

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2 commenti

  1. paolo delfini

    Simpatia e stima per il popolo inglese, ma se la Gb uscisse dall’Ue saremmo in tanti a non rovinarci il fegato piu’ di tanto. Le classi dominanti inglesi sono da sempre con un piede dentro e uno fuori rispetto all’Unione europea, e spesso sono europeisti quando serve e antieuropeisti quando conviene , ad esempio non hanno ,giustamente, aderito all’Euro ,ma la Banca d’Inghilterra possiede piu’azioni della Bce rispetto a Bankitalia, per partecipare ai profitti.I vertici della societa’ inglese sono piu’ una quinta colonna degli Usa (liberissimi di farlo) che un pilastro dell’unione europea, quindi…..

  2. francesco taddei

    la gran bretagna non si rassegna ad essere comandata da altri, a far evaporare la propria identità in un calderone indefinito(cosa che agli italiani sta invece benissimo). una nazione che ha fondato un impero e che oggi con gli usa comanda il mondo, perchè dovrebbe sottostare all’euroburocrazia che viene proposta come il bene assoluto e chi è contrario non è democratico?

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