Chi nutriva dubbi sulla sensibilità delle istituzioni europee verso gli sbarchi di migranti dal Canale di Sicilia, li ha fugati martedì 22 ottobre leggendo l’intervista che Cecilia Malmström, commissaria europea per gli Affari interni, ha rilasciato al Corriere della sera. Ella ha garbatamente ricordato (rinfacciato?) all’Italia i fondi europei ricevuti dal 2007 a oggi per gestire l’asilo e i confini, ha precisato che la nostra nazione non è quella che subisce la pressione maggiore, dal momento che nel 2012 la maggiore quantità di domande di asilo è stata rivolta a Germania, Francia e Svezia.
E ha concluso che se le condizioni del centro di Lampedusa continueranno a essere quelle attuali, farà attivare contro di noi la procedura di infrazione. Poiché in queste ore si svolge sul tema il vertice dei capi dei governi dell’Unione, è l’occasione giusta perché chi rappresenta l’Italia consegni alla signora Malmström un promemoria su pochi punti essenziali: 1) l’emergenza oggi non riguarda l’ospitalità nei centri di accoglienza, ma le centinaia di persone che muoiono in mare, dunque i fondi destinati all’accoglienza non c’entrano nulla; 2) di fronte a chi fugge dalle persecuzioni si pone il problema di come evitare che affoghi, non di come tutelare i confini in mare; 3) è vero che la gran parte delle domande di asilo sono presentate in altri stati europei, ma Bruxelles può ignorare che tutti i potenziali richiedenti asilo che giungono via mare arrivano sulle coste italiane? 4) quale altra nazione europea ospita oggi nei propri centri tanti migranti giunti via mare quanti ne riceve l’Italia? Il tutto premettendo alla gentile commissaria l’invito, quando adopera la parola “mare”, a non associare, come da riflesso condizionato, il termine Baltico, bensì quello di Mediterraneo.