La preghiera del mattino

La fumosità della Bce è un problema di cui bisogna parlare

Christine Lagarde
Christine Lagarde, presidente della Bce (foto Ansa)

Su Linkiesta Alberto Chiumento scrive: «Alle 14.30 di oggi Christine Lagarde, presidente della Banca centrale europea, terrà una conferenza stampa a seguito della riunione del Consiglio direttivo della Bce. Ci si attende che confermi e spieghi in modo più approfondito il “percorso di normalizzazione della politica monetaria dell’area euro”, che ha introdotto con un post sul blog della Bce».

Tutto il vasto schieramento italiano d’opinione euroconformista ha trattato le dichiarazioni della Lagarde con il tradizionale sussiego riservato alle istituzioni dell’Unione Europea, paragonando le scelte del presidente della Bce a quelle della banca centrale americana (la Fed), dimenticandosi che negli Stati Uniti esiste un governo centrale in grado di compensare le scelte della banca centrale difendendo gli investimenti nazionali e che comunque la logica della Fed è una logica nazionale, non condizionata – come scrive la stessa stampa “conformista” – dal blocco dei paesi del Nord, secondo quella logica nazionalista e non federalista che pesa in un’Unione priva di una Costituzione. Da qui il solito “scandalo” per le dichiarazioni del ministro Guido Crosetto che ha criticato la fumosità delle proposte della presidente Bce con i conseguenti effetti sulle Borse e lo spread.

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Su Formiche si scrive: «“Le dichiarazioni di Christine Lagarde sono state inadeguate alla drammaticità del momento: occorre che la Bce svolga il suo ruolo di stabilizzazione monetaria e anche economica”, ha detto Debora Serracchiani».

Questa citazione di una frase della Serracchiani del marzo del 2020 mostra come l’euroconformismo funziona meno quando la sinistra è al governo a Roma e può quindi permettersi di criticare l’abituale dannosa fumosità delle dichiarazioni della Lagarde.

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Su Startmag si riprende un articolo di Donato Masciandaro per Il Sole 24 Ore dove si scrive: «Parole fumose. Sono quelle con cui la presidente Lagarde ha illustrato la strategia della Bce. Se economia e mercati hanno bisogno di trasparenza, Francoforte continua ad usare un codice inverso: ripetere formule vuote. E se la la Banca centrale è afona, è inevitabile che aumentano i banchieri centrali che offrono informazioni individuali ed inopportune – i pavoni – o anonime e destabilizzanti – i corvi. Pavoni e corvi sono una tossina per la politica monetaria europea. Ieri si è ripetuto l’ormai trito cerimoniale della comunicazione senza informazione. Annunziato l’aumento di cinquanta punti base nei tassi di interesse, affermare che il Consiglio Bce “si aspetta di innalzarli ulteriormente (…) in modo da assicurare un ritorno all’obiettivo del due per cento” significa dire che se piove occorre aprire l’ombrello. L’annunzio sulla azione di liquidità, che inizierà dal prossimo marzo, è solo una eccezione rispetto all’impostazione generale, ieri più volte ribadita dalla presidente Lagarde. La Bce ha abolito gli annunzi sul percorso futuro dei tassi di interesse, per adottare l’opportunistica politica del “riunione dopo riunione”: non si prendono impegni, quindi per definizione non si sbaglia. Peccato che è una politica che rappresenta l’esatto contrario di quella che sarebbe necessaria per provare a indirizzare nella giusta direzione le aspettative. Aspettative da cui dipende sia il rischio inflazione che il rischio recessione. E la Bce invece di indirizzare l’economia si comporta come il più classico dei criceti sulla ruota».

Il fronte euroconformista peraltro è rotto non solo dal Financial Times, che critica la Lagarde, ma anche dal Sole 24 Ore, come spiega Startmag con un’efficace sintesi di un articolo di Masciandaro. La Lagarde – secondo, poi, Angelo De Mattia, sentito da Formiche – «ha messo insieme un po’ tutto: aumento dei tassi, indicazioni chiare sulla prosecuzione della linea restrittiva e, soprattutto ha annunciato che a marzo inizierà la riduzione del bilancio, con il disinvestimento di 15 miliardi al mese. In questo modo Lagarde ha dato soddisfazione alla parte più dura del board». Due considerazioni: da una parte la performance della Lagarde è all’altezza della mediocre governance europea, da Ursula von der Leyen a Charles Michel, per non parlare di Eva Kaili; dall’altra c’è una questione di equilibri di “potere” (nella quale s’inquadra anche la questione dell’uso del Mes) nel sistema istituzionale dell’Unione, di cui la sinistra italiana non può accorgersi solo quando è al governo a Roma.

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Sul Sussidiario Giulio Sapelli scrive: «Il tutto mentre un’uscita di sicurezza ci sarebbe, senza così cadere nelle spire della special purpose entity: quella di un “Prestito irredimibile per la rinascita”, come tempo fa avevamo proposto, ispirati da motivazioni diverse ma concorrenti l’una con l’altra, Giovanni Bazoli, un banchiere senza eguali in Europa, Giulio Tremonti, il quale unisce politica e teoria in uno sforzo incessante, e – più modestamente – il sottoscritto. Un prestito che si rivolga alla nazione come facemmo negli anni della ricostruzione dopo la Seconda Guerra mondiale, sotto lo sguardo vigile di Luigi Einaudi. Prestiti che sortirono, perché i prestiti furono più di uno, l’effetto di unire tutte le forze politiche al di là degli scismi della Guerra fredda e che ridiedero alla nazione quello slancio – non solo finanziario – che non doveva esser perduto dopo la lotta di Liberazione nazionale. Un prestito che serva per comporsi con e per attuare il Pnrr, ponendoci in tal modo non contro l’Ue, ma nella Ue, per utilizzare tutte le possibilità che quel meccanismo imperfetto può tuttavia offrire alle nazioni che vogliono ritrovare se stesse, partendo dalla nuova crescita economica che – tra transizioni e trasformazioni – tutti dovremmo auspicare. Ricorrere al Mes, invece, l’abbiamo detto molte volte, non consentirebbe margini di manovra in caso di non temporaneo rispetto dei limiti non giuridici, ma solo di natura regolamentare (come ci spiegò insuperato il maestro Giuseppe Guarino), con il pericolo di vedersi deprivati di ogni risorsa in grado di innestare, con il tempo necessario, una nuova e possibile crescita: Grecia docet…».

Come spiega bene Sapelli, l’unica seria via per incrementare una sana integrazione europea, è affrontare i nodi che si presentano per quelli che sono, non negandoli con una miserevole retorica che nel medio periodo produrrà effetti devastanti.

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