

Su Atlantico quotidiano Federico Punzi scrive: «Un buffetto al premier è arrivato durante il dibattito in aula persino da Pier Ferdinando Casini: “Lei è qui non solo perché glielo hanno chiesto gli italiani, ma perché il Parlamento non le ha mancato la fiducia. Attenzione a invocare gli italiani: vorrebbe dire andare al voto“».
Casini da quando è passato da essere uno dei leader dei moderati a eletto dal Pd in uno dei collegi più di sinistra di Bologna, ha smesso di interessarsi della sintassi della politica, però ne conosce la grammatica e sa che un presidente del Consiglio frutto di complicati compromessi parlamentari non può presentarsi come “voluto dagli italiani”. Quel che sa l’allievo di Arnaldo Forlani è invece ignoto al giornalista collettivo che non segnala la deriva, questa sì populista, di Mario Draghi, ottimo tecnico e non privo di capacità d’intrigo nei palazzi, ma ignaro della sintassi della politica, cioè di quella mediazione che i partiti devono avere innanzi tutto con il loro vero padrone, che non è la Goldman Sachs, bensì il cittadino elettore.
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Su Formiche Carlo Fusi scrive: «Certo è che la fine dell’esperimento draghiano segna una sconfitta anche per Mattarella, che di quell’esecutivo “non ancorato ad alcuna formula politica” e sorretto da una maggioranza tanto larga quanto eterogenea è stato l’inventore e il sostenitore».
Fusi è sconsolato per la fine del governo Draghi, ma resta un osservatore intelligente che non può non registrare la sconfitta di Sergio Mattarella. In questi ultimi quattro anni il presidente della Repubblica è stato (anche se spesso il vero protagonista era Ugo Zampetti) il regista della politica italiana, sostituendosi a quello che ne dovrebbe essere il reale padrone: cioè il popolo italiano. Lo ha fatto per forti motivazioni e impulsi morali dei quali, ahimè, talvolta sono lastricate le vie dell’inferno.
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Su Dagospia si riprende un lancio di Adnkronos nel quale si scrive: «In una nota di un portavoce del dipartimento di Stato americano, nella quale, premesso che “generalmente non commentiamo su questioni di politica interna”, si esprime “rispetto e sostegno per il processo costituzionale e lo stato di diritto”. “Il rapporto tra Italia e Stati Uniti”, confermano a Washington, “è forte e basato su valori condivisi, democrazia, diritti umani, libertà di espressione, prosperità economica, che ci uniscono a livello bilaterale ma anche con i partner nell’alleanza transatlantica”».
Persino l’amministrazione Biden ha più rispetto della Costituzione italiana in confronto a un certo nostro establishment politico, finanziario, mediatico, che cura solo i propri interessi attraverso la non contendibilità del potere politico nel nostro paese.
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Sulla Nuova Bussola quotidiana Eugenio Capozzi scrive: «I governi “di emergenza” e solidarietà nazionale non sono una novità nella storia dell’Italia repubblicana (quelli della “non sfiducia” presieduti da Andreotti tra il 1976 e il 1979 ne furono il prototipo), e tanto meno lo sono quelli “tecnici”, più volte ricorrenti dagli anni Novanta in poi (Ciampi, Dini, Monti). Ma mai come nel caso della compagine guidata da Mario Draghi gli artefici e sostenitori della maggioranza hanno puntato con altrettanta enfasi sul ruolo decisivo affidato al presidente del Consiglio in virtù delle sue capacità e del suo prestigio internazionale, e sulla presunta alternativa, da lui incarnata, tra la “salvezza” e un destino catastrofico per il paese. Un’argomentazione usata inizialmente in relazione alla crisi determinata dalla pandemia (il governo, si diceva, nasceva innanzitutto per “portare a termine la campagna vaccinale”) e poi via via ampliatasi ad altre questioni, come le politiche per la “ripartenza” economica post-pandemica, la gestione dei fondi del Pnrr, la guerra russo-ucraina e le sue conseguenze economiche ed energetiche, persino la siccità estiva. E mai come in questo caso, più ancora di quanto accadde con Mario Monti poco più di un decennio fa, la leadership del presidente del Consiglio è stata legittimata in direzione “verticale” riferendosi direttamente ai “vincoli esterni” giudicati imprescindibili per l’Italia, come quello dell’Unione Europea ma ora anche, con altrettanta se non più forza, quello atlantico».
L’idea di governare da fuori e dall’alto una società ricca e complessa come quella italiana è destinata solo a produrre macerie anche se affidata a un tecnico capace come Mario Draghi invece che a una personalità inconsistente come quella di Mario Monti.
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