La clinica svizzera dell’eutanasia accoglie sempre più tedeschi, inglesi e italiani

Di Elisabetta Longo
21 Agosto 2014
Il Journal of medical ethichs ha raccolto i dati relativi ai suicidi assistiti in Svizzera. Primi i tedeschi, poi gli inglesi e gli italiani. La portavoce di Dignity in dyng: «E' immorale costringere le persone a espatriare per morire»

Li chiamano “suicide tourists”, turisti del suicidio. Sono coloro che espatriano dal proprio Paese d’origine per andare in uno Stato nel quale sia legale l’eutanasia e porre così fine alla propria vita. La meta preferita è sempre la stessa, la clinica svizzera Dignitas.

TEDESCHI IN TESTA. Ad analizzare i flussi di pazienti che vogliono sottoporsi all’eutanasia in questa clinica di Forch è stata la rivista scientifica Journal of medical ethics, sfruttando i dati forniti dall’Istituto di medicina legale di Zurigo. Primi nella triste classifica risultano essere i tedeschi, poi gli inglesi, seguiti dagli italiani. Il periodo analizzato va dal 2008 al 2012, e il numero delle persone che ha scelto questa strada è salito di anno in anno. In totale i “suicide tourists” sono cresciuti del 40 per cento in quattro anni. Nel 2008 ci sono stati 123 casi di suicidio assistito e nel 2012 si è arrivati a 172 casi. Per quanto riguarda le provenienze dei malati, sono 77 gli aspiranti suicidi tedeschi, 29 gli inglesi, 22 gli italiani, poi 19 francesi e 7 americani.

MALATTIE NEUROLOGICHE. Sarah Wootton, a capo dell’assocazione Dignity in dying (morire con dignità) è stata intervistata dai principali quotidiani britannici, visto che da sempre si batte perché anche in Gran Bretagna venga legalizzata l’eutanasia: «È come se l’Inghilterra esternalizzasse i propri suicidi assistiti in Svizzera. È immorale costringere i cittadini britannici a emigrare per far terminare la propria vita». Le malattie che più affliggono chi si reca alla Dignitas sono malattie neurologiche, paralisi, sclerosi laterale amiotrofica, morbo di Parkinson e sclerosi multipla, quasi il 47 per cento dei casi.

VIETATA. In Gran Bretagna l’eutanasia è stata vietata da una legge del 1961 chiamata Suicide Act, ma ultimamente il dibattito per una riforma del suicidio si è acceso, anche grazie al politico Debbie Purdy, affetta da sclerosi multipla. Nel 2009 la donna ha chiesto ai giudici di pronunciarsi, perché nel caso in cui fosse andata alla Dignitas con suo marito, l’uomo sarebbe stato punibile fino a 14 anni di prigione. All’epoca era finita in nulla di fatto, così come nel caso di Tony Nickilson, un malato, affetto da sindrome di locked in, che nel 2012 si era rivolto all’alta corte per chiedere il permesso di morire, assistito dalla moglie. Tony perse la sua battaglia, e morì sei giorni dopo la sentenza. Ora il dibattito sull’eutanasia in Gran Bretagna è tornato a farsi sentire, ma per il momento David Cameron tentenna.

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