La casta della toga fa tremare i polsi e non tocca più il cuore degli italiani

Di Pietrangelo Buttafuoco
01 Aprile 2017
Se un innocente finisce in galera, il giudice non paga perché la magistratura, grazie a Dio, non può sbagliare mai
Magistrati in toga

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Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Chi si guardò, si salvò. Un italiano su due non ha fiducia nella magistratura. Rispetto a Tangentopoli, quando i giudici erano portati in trionfo, oggi non sono più amati. E neppure venerati. Anzi!

L’ultimo sondaggio dell’Ispo certifica il declino di credibilità delle toghe. E ciò che un tempo si taceva, adesso è voce di popolo: se un malato muore, il chirurgo paga; se crolla un ponte, l’ingegnere paga; se un innocente finisce in galera, il giudice non paga perché la magistratura, grazie a Dio, non può sbagliare mai.

È la casta più casta che ci sia. A differenza di un generale di corpo d’armata; a differenza di un ambasciatore; a differenza di un signor prefetto – tutti alti funzionari dello Stato che possono essere spediti in ogni dove – il magistrato non può essere rimosso senza il proprio consenso.

Chi si guardò, si salvò.

A differenza dei politici da tutti sputacchiati, i magistrati che comunque hanno uno stipendio – per carità, a garanzia dell’autonomia – equiparato a quello dei senatori, sono giustamente intoccabili. Tanto è vero che a differenza degli altri pensionati costretti al contributo di solidarietà, i magistrati ne sono esentati con tanto di parere della Consulta, perché – si sa – Corte non mangia Corte. E non si paga!

La casta della toga vale più di una santa tonaca. Per questo Michele Emiliano, prestato alla politica, la sua carriera di pm non la lascia.

Casta più casta che ci sia, la magistratura non tocca più il cuore dell’opinione pubblica, anzi, fa tremare i polsi a tutti.

A proposito di polsi.

Voi, anzi, tu. Quale dei due italiani sei, quello che ha fiducia incondizionata nella magistratura, o quello che la fiducia ce l’ha, ma con la condizionale? Perché è sempre lì: o lì o là. Senza la sentenza di Giufà.

Testo tratto dalla rubrica “Olì Olà”in onda su La7 durante Faccia a faccia, domenica in prima serata

@PButtafuoco

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