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La battaglia di Samek

Vent’anni fa scompariva Emanuele Samek Lodovici, docente di filosofia a Torino. Già negli anni Settanta questo cattolico sui generis denunciava gli “illuminati” gnostici che volevano imporre a tutto e tutti il loro pensiero. Ecco come lo ricorda un suo alunno

Feyles Giuseppe
12/07/2001 - 0:00
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Una mattina sulla fine degli anni Settanta, Samek Lodovici entrò come una furia nel corridoio imbrattato della facoltà di Filosofia di Torino. Portava storti sul naso i suoi occhialoni quadrati, come quelli del carosello della Philco. Brandiva a mò di spada uno dei suoi amatissimi testi classici e urlava: «È nata Isabella! È nata Isabella! Isabella di Spagna, che schiaccerà gli infedeli… gli infedeli come te!». E, sbracciandosi, puntava l’indice in modo scherzoso, ma anche severo, verso qualcuno in una stanza vicino, forse qualche assistente polveroso, o un ordinario rinsecchito e curvo sulla formica delle cattedre dell’Istituto. Se non ricordo male, era da poco diventato padre.

Un professore controcorrente

In quest’immagine è riassunta la figura di Emanuele Samek Lodovici, morto ancora giovane nel 1981, vent’anni fa. Samek era così, baldanzoso, certo, entusiasta, superiore per intelligenza e cuore alla catacombale cultura cattolica di allora ed al grigiore dei burocrati di sinistra, già saldamente al potere culturale. Faceva impressione incontrare un professore cattolico tutto d’un pezzo, che non aveva paura di proclamarsi tale nell’università di quegli anni. Nel 1980 ottenne la cattedra. Quella nomina giungeva dopo anni di attese, emarginazioni e vessazioni, anche da parte dei colleghi cattolici e nonostante fosse evidente a tutti il suo talento. Vittorio Mathieu fu uno dei pochi ad appoggiarlo. La sua vicenda fu l’emblema del vizio capitale dei docenti cattolici di quegli anni, tutti bravi e retti, ma tutti annullati ed ininfluenti proprio per il loro reciproco isolamento. Appena in cattedra, Samek disse a noi suoi studenti che avrebbe voluto subito fare una squadra, una scuola. Ma non ne ebbe il tempo: poco dopo un incidente stradale lo portò alla morte. A procurargli ostilità non fu solo l’invidia, o il fastidio per la sua prorompente personalità, così lontana dallo stereotipo dominante del cattolico compassato. Fu il suo pensiero ad essere emarginato, perché poco accomodante. Era convinto che fosse in atto un attacco strategico alla tradizione cattolica, ed individuava il cuore di questa opposizione non in una prassi difforme alla norma, ma in un atteggiamento culturale di fondo: la gnosi. Questa eresia, oltre ad essersi sviluppata nei primi secoli dopo Cristo, secondo Samek si ripropone in tempi diversi, di fronte alla novità cristiana, con tratti comuni. Per lo gnostico l’uomo ed il mondo sono frutto di una caduta, di una frattura, ma nel mondo c’è già qualcuno che può redimere il mondo. Costui è il sapiente, l’eletto, che possiede una tecnica per tornare al paradiso perduto, senza bisogno di nessuna Grazia. Egli «è illuminato, non ascolta più (via l’antica fides ex auditu), perché oramai ha visto» (Metamorfosi della gnosi, p. 8). Nella storia questi “illuminati” sono: i leninisti, i rivoluzionari francesi, e penso che Samek avrebbe esteso il suo concetto ai moderni giustizieri in toga. Questa intuizione di Samek, molto agostiniana, appare ancor più valida in quanto sviluppata in tempi di ubriacatura cattocomunista. Gli anni Settanta erano caratterizzati dall’esplodere della contestazione a tutti i livelli: politico, sessuale, estetico, dell’informazione, del linguaggio. Nei suoi scritti Samek analizza lucidamente ciascuno di questi fronti di battaglia, ma li considera solo conseguenza di una grande opposizione di fondo al cristianesimo, opposizione che reagisce al porsi del cristianesimo nella storia, prendendone in prestito le parole e snaturandole. Questa lotta è ingaggiata da un ceto di intellettuali che si ritiene superiore, persino alle leggi, tanto da poterle trasgredire non solo per il proprio bene (come Raskolnikov) ma per il presunto bene di tutti, salvo poi essere intransigente con gli altri che non le rispettano. La gnosi moderna, secondo Samek, è figlia del romanticismo, il cui culto per l’immediatezza si traduce in «esaltazione dello spontaneismo, della libertà e della coscienza come prima moventia rispetto all’ordine dell’essere» (ibidem p. 17). La nuova gnosi conserva la pretesa di spiegare il cristianesimo e di purificarlo, sostituendolo con un accesso all’Assoluto senza mediazioni istituzionali, corporee, né perciò ecclesiali.

Donne brutte (e basta)

L’attualità di questa analisi è evidente, soprattutto in relazione al cancro delle nuove religiosità “fai da te”. Pur nella diversità delle sue forme storiche, il cuore dello gnosticismo è che la salvezza sia questione di tecnica, di una tecnica posseduta. Samek ne individua tre livelli: la prima ha a che fare con la conoscenza: l’eletto ha la nuova e definitiva interpretazione del mondo. Lo stesso Nuovo Testamento è ancora un Vecchio Testamento, il cui vero senso è svelato dal dotto (oggi diremmo dagli opinion leader?). La seconda ha a che fare con l’attività sessuale, la cui liberazione è vista come la strada maestra per la liberazione della persona. La terza concerne la prassi guidata dalla teoria (marxismo). Si resta colpiti dalla chiave interpretativa di Samek. Oggi infatti viviamo in un mondo in cui l’opinione corretta sulla realtà ci viene suggerita, in definitiva imposta, da agenzie di “illuminati”, interpreti del politically correct. Queste grandi agenzie di consenso sono sorprendentemente vicine all’identikit degli gnostici tracciato da Samek. Nella visione di Samek è in corso una battaglia, i cui esiti sono incerti. Per il momento prevalgono le tinte fosche, come nei romanzi del suo amato Tolkien. Anche nel rifiuto di un irragionevole ottimismo Samek andava controcorrente. Del resto «il pregiudizio che ogni cosa debba avere il suo lato positivo non è diverso dal pregiudizio a favore delle donne brutte, che per forza devono almeno essere intelligenti. Ma molte donne brutte sono anche sciocche e la bruttezza ha questa superiorità sulla bellezza: che dura» (ibidem p. 134). Questa battaglia culturale era il motivo delle discussioni con noi, suoi allievi, desiderosi di una strada non solo intellettuale, ma che comprendesse insieme alla mente anche tutti gli altri aspetti dell’esistenza. Per lui il rimedio era una nuova posizione culturale, una ripresa più forte, cioè, della tradizione metafisica classica. Samek era un neoplatonico convinto. Era un nemico implacabile di ciò che chiamava la riduzione “cosale” della realtà, attribuibile ad un falso linguaggio aristotelico per cui ciò che c’è sono innanzitutto le cose. Invece, amava ripetere che più delle cose ci sono i significati delle cose stesse. Occorre dunque «tornare alla memoria dell’origine, perché solo l’origine è la meta» (ibidem p.121).

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