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La “baby box” del pastore Lee contro l’aborto e «l’abbandono dei figli indesiderati e disabili»

La storia del pastore Lee Jong-rak, che in un quartiere popolare di Seul ha salvato decine di bambini grazie alla "baby box", che raccoglie i «bambini indesiderati, disabili o figli di ragazze sole».

Leone Grotti
08/10/2012 - 17:15
Società
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A Nangok, quartiere popolare di Seul, capitale della Corea del Sud, il pastore protestante Lee Jong-rak (nella foto) ha aperto da tre anni una “baby box”. Di fianco alla porta della “Comunità dell’amore di Dio” si trova un vano accogliente, riscaldato e illuminato affiancato da questo cartello: “Questa è una comunità che protegge la vita. Per piacere, non gettate via bambini indesiderati o disabili o figli di ragazze sole. Portateli qui, invece”. Appena un bambino viene introdotto nel vano, un campanello suona e Lee si precipita ad accogliere i bambini indesiderati.

«ALTERNATIVA ALL’ABORTO». «Da quando ho aperto la “baby box” nel 2009, i numeri sono cresciuti. Solo in agosto sono stati lasciati qui 10 bambini, 14 in settembre», spiega il pastore, che ha accolto più di 50 bambini indesiderati. Oggi la comunità di Lee ne ospita 21, 19 dei quali disabili o deformati, di cui il pastore è tutore legale, gli altri sono stati consegnati alle autorità competenti. «La “baby box” – spiega Lee – è un’alternativa per quelle madri che non possono tenere il bambino ma che non vogliono abortire e per quelle che altrimenti abbandonerebbero i bambini nei parchi o nei cassonetti».

«PERCHÉ MI HAI DATO UN FIGLIO HANDICAPPATO?». Il motivo per cui Lee ha cominciato a prendersi cura dei bambini indesiderati e disabili è personale. Negli anni 80, quando ancora non era pastore, gli nasce un figlio gravemente disabile: «Era così deformato che per un mese l’ho tenuto nascosto a mia moglie, facendole credere che era stato trasferito in un altro ospedale per essere curato, in quanto malato. Non sapevo come dirglielo». Col tempo Lee comincia ad accettare il figlio, anche se non è contento: «Domandavo a Dio: “Perché mi hai dato un figlio handicappato?”. Non ero certo grato per quella nascita». In quegli anni poi, spiega ancora il pastore, i bambini disabili venivano abbandonati o soppressi in Corea del Sud anche a causa della cultura che esaltava (ed esalta) la perfezione fisica.

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LEE DIVENTA PASTORE. Ma stando con il figlio, che aveva bisogno di cure mediche e attenzioni 24 ore su 24, Lee comincia a vedere nella sua debolezza la grandezza della vita. «Nel 1992 mi sono riavvicinato alla fede, cominciando gli studi per diventare pastore». Passando ogni giorno in ospedale, dove suo figlio viene curato, sempre più persone entrano in contatto con lui fino a chiedergli di prendersi cura dei loro figli disabili. Così nel 1998 il pastore Lee apre la “Comunità dell’amore di Dio”, dove si prende cura insieme alla moglie e a 280 volontari dei bambini disabili e indesiderati.

APRE LA “BABY BOX”. Nel 2009 decide di istituire la “baby box”, per accogliere quei bambini che, altrimenti, «verrebbero abbandonati, mentre per me sono tutti perfetti, anche se disabili». Ma poiché in Corea del Sud l’abbandono dei figli è un reato, il governo nel 2011 gli impone di chiuderla, perché inciterebbe  la gente all’abbandono dei minori. Lee però oppone un secco rifiuto: «Io non chiuderò la baby box». Oggi infatti è ancora aperta e a settembre ha accolto e salvato ben 14 bambini. «I numeri sono in crescita – spiega il pastore – perché con la nuova legge sulle adozioni, i genitori che non vogliono o non riescono ad allevare il proprio figlio sono prima costretti a registrarlo». Sono perciò aumentate le madri che, non volendo allevare il proprio figlio, hanno deciso di lasciarlo nella “baby box”. «E finché il governo non troverà una soluzione, io lascerò aperta la “baby box”».

@LeoneGrotti

Tags: Abortobaby boxcorea del sudlee jong-rakseul
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