Nella distanza, che si accentua drammaticamente, fra la scena mediatico-politica e la nostra vita quotidiana, una delle voci rapidamente tornate nel dimenticatoio è l’immigrazione. Un mese fa eravamo atterriti dalle centinaia di morti in mare: oggi conosciamo se e quali decisioni concrete sono state assunte, in Italia e in Europa?
In Europa, a parte gli ingenerosi richiami all’Italia per le condizioni dell’accoglienza, si è rimandato l’insieme al Consiglio dei ministri dei primi di dicembre. Ma non si comprende quale sarà con esattezza l’ordine del giorno, e quindi a quali misure si punta. Nemmeno sono chiare le richieste che Roma ha rivolto alle istituzioni europee, al di là di una domanda di attenzione generica che neanche sfiora i problemi.
In Italia si sono mandate nel Canale di Sicilia un po’ di navi in più: è un segnale di buona volontà, ma non è una scelta strategica. Non vi è notizia di alcun passo europeo, e ancor meno italiano, verso gli Stati di partenza o di transito dei potenziali rifugiati per ridurre le condizioni che spingono all’esodo centinaia di migliaia di persone, né di progetti europei per il soccorso nel Mediterraneo e per evitare che le imbarcazioni con la nostra bandiera di fatto aiutino i trafficanti di uomini a far percorrere ai loro sfruttati l’ultimo tratto del viaggio. Non vi è notizia di un’azione comune, anche solo sollecitata dall’Italia a Bruxelles, per aprire centri di accoglienza sulla sponda sud del Mediterraneo.
È come se non fosse successo nulla, come se non avessimo alle spalle tragedie incredibili. È come se l’Europa, invece delle dodici stelle, avesse per logo e per divisa una pesante benda stretta sugli occhi e l’Italia, invece del tricolore, una bandiera bianca di resa nell’affrontare questioni con cui conviviamo da decenni e convivremo a lungo.