
Su Huffington Post Italia Gianfranco Rotondi scrive: «Il solo tentativo fu il “Popolo delle libertà”, nato dall’unione di An, Forza Italia e Dc, nel 2008, e non a caso subito balzato a percentuali elettorali da grande Dc. Ecco, era quello il momento in cui ci si doveva chiedere conto della nostra unificazione con la destra; e avremmo risposto che si trattava di un processo speculare alla contaminazione dei popolari con gli ex Ds nel Partito democratico. In quegli anni si giocò il tentativo di una ristrutturazione del sistema, con due partiti a vocazione maggioritaria a destra e a sinistra».
Rotondi coglie il nodo centrale degli avvenimenti dell’ultimo decennio: Silvio Berlusconi era riuscito con il Popolo della libertà a costruire un partito moderato-conservatore che avrebbe potuto dare stabilità alla politica italiana. Lavorando sui vari Casini, Fini e Alfano, Giorgio Napolitano, con il ruolo determinante della magistratura “militante”, con ampi settori di establishment italiani allergici a un potere politico contendibile e forti sistemi di influenza straniera interessati alla nostra subalternità, è riuscito a far saltare questa possibile stabilizzazione regalandoci i 5 stelle al 32 per cento, e in 11 anni 9 anni di presidenti del Consiglio non parlamentari.
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Su Open si scrive: «Ora sulla piattaforma più usata dalla Gen Z è arrivato anche Carlo Calenda. Il leader di Azione ha annunciato così l’evento su Instagram: “Allora, sbarchiamo su TikTok. Io non so ballare, sembro un orso ubriaco. Non posso dare consigli di make-up perché c’ho la pancia e sono brutto”. Ma prosegue con una promessa ai giovani utenti: “Però posso parlarvi di politica”».
Con la sua idea di mandare tutti i giovani al liceo, Calenda aspira a interpretare su TikTok il ruolo di Maria Antonietta del XXI secolo, offrendo, a chi chiede pane, brioche
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Su Dagospia si scrive: «E questa volta, niente flop quirinalizi, al diavolo i Salvini in delirio da king-maker (Casellati, Nordio, Belloni): si aprirebbe il tappeto rosso per Draghi al Colle. Perché a “Io sono Giorgia”, per mostrarsi affidabile ai quei poteri forti contro cui ha scagliato tanti insulti negli anni, serve un “garante” come il pane. E l’unico scudo è SuperMario (altro che un Fabio Panetta qualsiasi)».
Draghi? Donne guerriere? The winter is coming? Alé, l’Italia è sempre più the Game of Thrones. E così, a occhio, Enrico Lettino pare proprio il capo giusto per un esercito di zombie, non per nulla liquidato, nel serial Hbo, da una protagonista non altissima. D’altra parte anche la protagonista, anch’essa non altissima, vincitrice viene poi fatta fuori dal suo più fido alleato. Una profezia?
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Su Affaritaliani si scrive: «“Abbiamo il dovere di continuare sulla strada tracciata negli anni passati e di guardare a possibili alleanze come quella con il Movimento 5 stelle”. Così Francesco Boccia, dirigente del Pd e candidato per il suo partito al Senato nella circoscrizione pugliese. “L’avversario”, ha continuato Boccia, “è chi ci dice che la ricetta del paese dal 26 settembre passerà per la tassa unica, il blocco navale, la reintroduzione del militare obbligatorio, cancellare legge su aborto. Noi siamo alternativi a questa idea di società. Quando è scoppiata la pandemia e abbiamo toccato con mano i tagli fatti da Tremonti ci siamo accorti di che cosa erano i diritti. I vincoli europei ci dicevano che molti diritti potevano essere tagliati in ossequio alle esigenze di bilancio. Noi abbiamo detto. La pandemia ci ha sbattuto di fronte questi problemi, la ricca Lombardia dal modello senza sanità territoriale ma solo con grandi hub ha tagliato i poli. Sono scelte che guardano a un’altra idea di società diversa dalle nostre”».
Ormai nel Pd non c’è quasi nessuno che si entusiasmi per la strampalata campagna elettorale di Enrico Lettino. Tutti in realtà si stanno già impegnando per la campagna congressuale, divisi tra i liberal-ecolo-socialdemocratici (tipo Bonaccini & Schlein), e i melenchoniani alle cozze tipo i Boccia e gli Emiliano (nonché il regista Massimo D’Alema, il caratterista Giuseppe Conte e l’affarista Romano Prodi).