“La Libia è al collasso. Se l’Onu ce lo chiede, pronte le nostre truppe per aiutare il paese”. È questo il titolo scelto oggi da Repubblica per un’intervista al ministro degli Esteri Paolo Gentiloni. Il titolare della Farnesina dice di non voler «ripetere l’errore di mettere gli stivali sul terreno prima di avere una soluzione politica da sostenere. Ma certo un intervento di peacekeeping, rigorosamente sotto l’egida Onu, vedrebbe l’Italia impegnata in prima fila».
La situazione del paese, infatti, si fa di giorno in giorno sempre più complicata. Ora il ministro per il Petrolio dell’illegittimo governo libico che siede a Tripoli vuole partecipare al summit dell’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio (Opec). «Noi siamo il governo legittimo. Vogliamo rappresentare la Libia a questa conferenza e non siamo ancora stati invitati, al contrario dell’altra parte. Se non ci chiameranno, non ratificheremo nessuna decisione».
DUE PARLAMENTI. Quando l’autoproclamato ministro Mashallah Zwai parla a Reuters «dell’altra parte» si riferisce al governo eletto e capeggiato da Abdullah Al Thinni, che è dovuto scappare da Tripoli per rifugiarsi nella città di Tobruk. La fuga è avvenuta a fine agosto, quando la capitale è stata conquistata da milizie islamiste legate ai Fratelli Musulmani di “Alba libica” e alla città di Misurata. Gli islamisti hanno insediato un nuovo governo nel Congresso e ora chiedono alla comunità internazionale di essere riconosciuti ufficialmente. Il governo eletto è stato recentemente sciolto dalla Corte suprema che risiede a Tripoli e che secondo gli esperti è stata costretta a questo passo dai terroristi.
PETROLIO. I miliziani islamisti hanno già il controllo di importanti pozzi petroliferi e si stanno espandendo a ovest verso Zintan e i giacimenti di gas occidentali, tra i quali quelli dove opera Eni. Se da un lato, dunque, è importante ottenere il benestare degli islamisti per chiudere accordi riguardanti il petrolio, dall’altro le Nazioni Unite non sembrano intenzionate a legittimare un governo nato con l’uso della forza.
BATTAGLIA PER L’AEROPORTO. Molti paesi sono però favorevoli a quest’ultima ipotesi, Qatar in primis, visto che la monarchia araba ha inviato armi agli islamisti per conquistare la capitale. Stamattina, ad esempio, la Turchia ha diramato un comunicato per condannare i bombardamenti condotti dall’esercito libico su Mitiga, l’aeroporto di Tripoli, conquistato dai terroristi. «Condanniamo fortemente i raid aerei – recita il comunicato – questi attacchi aumentano i problemi esistenti in Libia e l’atmosfera di conflitto e vanificano gli sforzi per risolvere la crisi in modo pacifico».
RUOLO DELLA TURCHIA. Anche se condannare il bombardamento di un aeroporto è sicuramente comprensibile, il comunicato della Turchia desta molte perplessità. Nessun comunicato, infatti, è stato diffuso quando Alba libica ha conquistato con le armi e in modo illegittimo l’aeroporto, i pozzi petroliferi e la capitale, facendosi strada verso la parte occidentale del paese. Ankara è anche la prima capitale al mondo ad aver nominato un rappresentate speciale per la Libia a ottobre e ad aver incontrato pubblicamente il governo islamista illegittimo di Tripoli. Sospettare che la Turchia sostenga gli islamisti per allargare la sua influenza nella regione, dopo aver fatto la stessa cosa in Siria, è sempre più giustificato.