
In Italia nascono sempre meno figli. Blangiardo: «Non siamo più una comunità»
Per la prima volta dopo sedici anni l’indice di natalità in Italia è in calo. Nemmeno quello straniero, che cresce ma con un ritmo minore rispetto agli anni passati, riesce a compensare le perdite. A dirlo è il rapporto Istat sulla natalità della popolazione residente. Nel 2010 sono nati 591.944 bambini contro i 568.857 del 2009. E se nel 2004 il tasso di fecondità delle straniere era del 2,6 in soli cinque anni è calato al 2,3.
I giornali hanno dato la colpa alla crisi economica. Giancarlo Blangiardo, docente di demografia dell’università Bicocca di Milano, spiega a tempi.it che, «in realtà, i fattori che intervengono sono tanti e complessi: sicuramente, se ci fossero provvedimenti a favore della famiglia i giovani che desiderano figli sarebbero più propensi a farne in maggior numero. Ma il problema è anche sociale. I bambini danno fastidio, sono visti come un peso».
Parla di una discriminazione dei bambini? «Non solo di quelli non nati, ma anche di quelli che sono venuti al mondo. Penso a quando li vedevi scorrazzare sul treno. Oggi sarebbe impensabile». O al proliferare di alberghi o ristoranti dove si accettano i cani ma non i bambini: «E non esistono nemmeno più tariffe agevolate per chi li ha: per andare in vacanza le famiglie dovrebbero aprire un mutuo».
Ma c’è chi continua a fare figli? «Purtroppo gli stranieri che arrivano qui li vogliono, ma ne fanno a meno perché devono lavorare tutto il giorno e si trovano a pagare affitti altissimi. Questo dice che in Italia, soprattutto nelle grandi città, è difficile averne. Un altro fattore non secondario è la solitudine: è dura crescere tanti bambini da soli in una società disgregata».
Come ha potuto allora il Papa, in visita a Zagabria il giugno scorso, avere il coraggio di esortare i giovani a sposarsi e ha non avere paura di fare figli, come segno della speranza nel futuro? «Benedetto XVI ha puntato il dito sulla bellezza della famiglia: se la si rimette al centro le persone più facilmente possono tornare a fare comunità, ad aiutarsi e supportarsi. Lo dimostra il fatto che chi fa figli o è legato ad associazioni oppure è dentro ambiti comunitari cattolici. E poi perché fare figli dà gusto. Devi essere disposto al sacrificio, avere un ideale grande, una passione di costruzione, ma una volta che rischi il tornaconto vale il sacrificio. Solo che per crederci bisogna provare ad accettare la sfida». Ma? «Ma c’è sempre chi soffoca la voce limpida di chi mostra la strada della rinascita. Penso agli intellettuali che dicono che al mondo siamo in troppi, e che i grandi giornali mettono puntualmente in prima pagina, scavandoci la fossa».
Il clima culturale, però, collabora anche a generare figli unici che, come dice l’Istat, sempre meno raramente hanno genitori con meno di 40 anni. «Molti vedono il figlio come un oggetto pari a un altro, prima la carriera e poi lui. L’idea di crescere un uomo non è più contemplata. Anche qui, i media e i giornali hanno le loro responsabilità». Gli stessi quotidiani che poi nascondono i dati Istat sulla denatalità a fondo pagina: «Questo è un danno ulteriore: se chi arriva con difficoltà a fine mese, avverte che al mondo siamo in troppi, anche se sente che potrebbe avere un altro figlio, si convincerà che in fondo è meglio rinunciarci. Ma ripeto: l’unico modo per vincere l’egoismo sterile che ci danneggia tutti è avere il coraggio di rischiare mete alte, le uniche che soddisfano l’uomo, come ricordato dal Papa sempre a Zagabria».
Allora il pontefice parlò anche dell’importanza del matrimonio per crescere i figli, mentre il rapporto Istat dice ormai di un 23,6 per cento dei nati che viene alla luce al di fuori del matrimonio. «La stabilità, come disse il Pontefice, è necessaria al bambino per crescere bene e quindi per essere un soggetto capace di collaborare al bene comune».
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