Dire che l’islam non c’entra nulla con la recente strage di Parigi e con le malefatte dell’Isis è una lettura confortante per l’Occidente, ma purtroppo non corrisponde a verità. A spiegare perché è Abdullahi Ahmed An-Na’im, studioso musulmano originario del Sudan, profondo conoscitore della legge islamica, e professore di diritto negli Stati Uniti alla Emory University.
LA SHARIA. In una lunga analisi scritta per The Conversation, e tradotta da AsiaNews, spiega che nonostante «la grande maggioranza dei musulmani [debba] provare di certo un profondo disgusto» per i crimini dell’Isis, «l’essenza della questione ruota attorno al fatto che i vertici dell’Isis e i suoi sostenitori possono appoggiarsi, e non mancano certo di farlo, su una moltitudine di fonti tratte dalle scritture e dalla storia per giustificare le proprie azioni. Le interpretazioni tradizionali della sharia, la legge islamica, appoggiano il jihad offensivo che mira a diffondere l’islam».
NESSUNA AUTORITÀ. Anche se ci sono importanti capi religiosi, come l’imam di Al-Azhar, principale autorità del mondo sunnita, che criticano l’Isis, «bisogna sapere che nessuna autorità può – qualunque sia il soggetto e il tema – stabilire o modificare la dottrina della sharia per gli altri musulmani. La fede musulmana e la sua pratica sono necessariamente individuali e volontarie. (…) Una conseguenza positiva di questa assenza di autorità religiosa consiste nel fatto di poter rimettere al centro e reinterpretare in modo diverso i principi della sharia. Al tempo stesso, vi è un rovescio della medaglia: qualunque musulmano può affermare qualcosa a proposito di sharia, nel caso in cui egli ottenga il consenso di una massa critica di fedeli».
MAOMETTO A MEDINA. Lo Stato islamico trova una valida conferma per le sue azioni nel comportamento di Maometto e «nelle rivelazioni ricevute dal profeta (come ci spiega il Corano)» una volta cacciato dalla Mecca e spostatosi a Medina. «L’interpretazione retrograda e brutale che fa Daesh [acronimo arabo per Isis, ndr] della sharia trova fondamento nel Corano di Medina», spiega An-Na’im, «che insiste sul fatto che i musulmani devono sostenersi l’un l’altro e distinguersi dai non musulmani».
JIHAD NEL CORANO. «Per esempio, nel versetto 3:28 (e anche 4:144, 8:72-73, 9:23, 71 e 60:1M) si dice che è proibito per i musulmani diventare amici o sostenere i non credenti (che siano essi pagani o politeisti). Tutto il capitolo 9 – che rientra fra le ultime rivelazioni – sanziona in modo categorico i non musulmani – e fra questi gli ebrei e i cristiani – e autorizza che sia lanciato il jihad offensivo nei loro confronti (versetto 9:29). È vero che il termine jihad è usato nel Corano per definire gli sforzi non violenti per la diffusione dell’islam (vedi i versetti 29:8, 31:15 e 47:31). Ma questo non cambia niente, perché lo stesso termine è stato usato per designare il ricorso alla guerra al fine di propagandare la stessa religione. Quest’ultima interpretazione è stata, in realtà, sanzionata dalle azioni e dalle direttive chiare emanate dal profeta in persona, così come dai fedeli più rispettabili, che sono divenuti in seguito i suoi quattro primi successori e califfi di Medina».
CONDANNE “OCCIDENTALI”. Sono tanti i musulmani che condannano lo Stato islamico. Ma, insiste lo studioso, «lo fanno per questioni morali o politiche, ma questo atteggiamento con tutta probabilità viene discreditato dai sostenitori dell’Isis come un ragionamento “occidentale”». Cosa si può fare allora? «La proclamazione di legittimità islamica di cui si ammanta Daesh», risponde An Na’im, «non può essere contrastata, se non usando una interpretazione alternativa della stessa legge islamica».
INTERPRETARE IL CORANO. È dal X secolo (dopo 300 anni di relativa libertà) che interpretare l’islam è diventato impossibile, continua il docente di diritto, ma «una concezione alternativa della sharia, che dimostri che le fonti delle scritture sulle quali Daesh si appoggia vanno viste in un contesto storico ben più ampio», è necessaria. «In altri termini, questi principi invocati dallo Stato islamico hanno potuto essere pertinenti e applicabili 1400 anni fa, quando la guerra – ovunque essa scoppiasse – era ben più dura di quanto non sia oggi. La solidarietà fra musulmani (wala’) si rivelava allora cruciale per la sopravvivenza della comunità musulmana e la sua affermazione. Ma oggi è ben vero il contrario».
L’ESEMPIO DI TAHA. An Na’im propone di seguire lo studioso sudanese Ustad Mahmoud Mohamed Taha, «che ha proposto di ripudiare i principi di una sharia che autorizza il jihad aggressivo, la schiavitù e la subordinazione delle donne e dei non musulmani, fondandosi sulle rivelazioni precedenti, quelle della Mecca». Taha considerava i messaggi più violenti, basati sulle rivelazioni di Medina, dovuti «a condizioni storiche del VII secolo».
ARRIVERANNO ALTRI ISIS. Per le sue idee, Taha «è stato giustiziato nel 1985 in Sudan per apostasia e i suoi libri continuano a essere proibiti nella maggior parte dei paesi arabi. Intanto lo Stato islamico vede le proprie file crescere sempre di più». Prima o poi l’Isis verrà distrutto, insiste lo studioso musulmano, ma «il mondo non potrà aspettarsi altro che la nascita di una nuova formazione dello stesso tipo; almeno fino a quando noi, musulmani, non avremo discusso in modo aperto e profondo dell’impasse nella quale si trova oggi la riforma della sharia».
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