Vittime o carnefici? Decisamente entrambi. Ma non ditelo alla Commissione indipendente internazionale d’inchiesta sulla Repubblica araba di Siria del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite: per loro le donne e i figli dei combattenti dell’Isis internati nei campi di Al-Hol e di Roj in Siria sotto la custodia delle Forze democratiche siriane (Fds egemonizzate dalle Ypg dei curdi siriani) sono soltanto vittime. Almeno questo è ciò che si desume dal suo ultimo rapporto, presentato a Ginevra il 14 settembre scorso: è il 35° della serie dal 2011, quando è scoppiata la crisi siriana.
La situazione degli internati ad Al-Hol
In esso si legge che «nel solo 2021, è stata registrata l’uccisione di circa 60 residenti nel campo (di Al-Hol – ndt), inclusi due ragazzi. Per reazione le Asayish – le forze di sicurezza delle Fds – hanno compiuto un’operazione di sicurezza fra il 28 marzo e il 2 aprile per eliminare l’influenza dell’Isis all’interno delle principali sottosezioni del campo, quelle in cui risiedono siriani e iracheni. (…) Almeno 150 persone sono state arrestate, inclusi leader dell’Isis ma anche donne. (…) La Commissione ha ragionevoli motivi per credere che le condizioni nel campo di Al-Hol possono costituire trattamento crudele o inumano, che rappresenta un crimine di guerra. Trattenere 27 mila minorenni, il 33 per cento dei quali ha meno di 5 anni di età, in questi campi per anni senza possibilità di ricorso legale non solo contravviene alla proibizione di privare illegalmente o arbitrariamente della libertà questi bambini, la cui detenzione deve essere solo una misura di ultima istanza, ma va anche contro le più fondamentali garanzie fornite ai bambini dal diritto internazionale».
Si tratta di un modo un po’ economico di raccontare la verità sugli internati di Al-Hol, dove, tanto per cominciare, i 60 assassinati nella prima metà di quest’anno sono quasi tutti vittime di omicidi mirati da parte di cellule dell’Isis, cosa che la Commissione si guarda bene dal far notare. Ancora meno spiegabile è la sorpresa dei commissari (il brasiliano Paulo Sérgio Pinheiro, l’americana Karen Koning Abu Zayd e l’egiziano Hanny Megally) di fronte al fatto che fra le 150 persone arrestate dai curdi ci siano «anche donne»: varie indagini attestano che una quantità oscillante fra il 20 e il 30 per cento delle donne internate ad Al-Hol sono tuttora fiancheggiatrici e sostenitrici convinte dell’Isis, con azioni che vanno dallo spionaggio alla raccolta di fondi per l’organizzazione alle intimidazioni, violenze e uccisioni di altre donne che hanno veramente rotto i rapporti col califfato.
Migliaia di bambini rinchiusi nei campi
Questo spiega, in parte, perché sia così difficile fare uscire dal campo bambini e ragazzi: molte madri li riporterebbero non alla vita civile, ma fra le braccia delle cellule dell’Isis annidate nell’Idlib e nel deserto di Badia al confine fra Iraq e Siria; è d’altra parte noto che l’indottrinamento estremista dei bambini all’interno del campo è condotto soprattutto dalle donne (su 62 mila ospiti del campo solo 5 mila sono uomini), in particolare da quando le attività scolastiche e formative ufficiali sono sospese a causa del Covid-19. La Commissione si rallegra poi per «i rilasci in corso di famiglie siriane dal campo di Al-Hol verso aree sotto il controllo delle Fds in base ad accordi conclusi con le garanzie dei capitribù, compresi i più recenti del giugno 2021. Viene riferito che dalla metà del 2019 sono stati rilasciati 8.548 siriani, compresi 4.677 bambini».
Lamenta poi che «più di 20 mila siriani rimangono nel campo di Al-Hol. Mentre 380 iracheni sono stati rimpatriati nel secondo trimestre del 2021, oltre 30 mila iracheni, compresi 19 mila bambini (che sarebbero poi i minorenni tutti – ndt) rimangono nei campi. Per quanto riguarda i rimpatri verso altri stati, almeno 322 bambini e 56 donne di 13 differenti paesi sono stati rimpatriati fra il settembre 2020 e il giugno 2021, mentre altri quattro paesi hanno rimpatriato bambini orfani. Decine di altri stati, comunque, continuano a rifiutare di rimpatriare i loro concittadini, compresi bambini giovani (così nel testo – ndt) a rischio di restare apolidi, vittime del traffico di esseri umani e detenzione illimitata. Alla data del giugno 2021, più di 7.800 bambini di quasi 60 paesi diversi dalla Siria e dall’Iraq erano trattenuti nei campi».
La “polizia religiosa” delle donne pro Isis
I calcoli tralasciano le circa 200 persone nel 2020 e probabilmente di più quest’anno che sono evase dai campi corrompendo le guardie o in altro modo, molto spesso grazie a denaro e reti di esfiltratori messi a disposizione dall’Isis o da suoi simpatizzanti, contattati attraverso i social. Le attività delle donne pro Isis che restano nel campo sono tristemente note. «Le mogli e vedove di membri dell’Isis costituiscono una considerevole porzione della popolazione del campo di Al-Hol, e l’Isis non ha mancato di utilizzare questa risorsa», si legge in un’analisi del Washington Institute for Near East Policy. «Una componente rilevante delle operazioni di queste donne all’interno del campo è la sorveglianza su tutte le altre. Esse hanno sviluppato una considerevole tensione con le altre donne che hanno preso le distanze dall’organizzazione. (…) Nel loro sforzo di imporre l’ideologia dell’Isis all’interno del campo, le donne pro Isis hanno formato unità di hesba, “polizia religiosa”. Queste unità controllano l’adempimento degli obblighi religiosi e istruiscono una sorta di processi contro chiunque rifiuti di osservare gli insegnamenti religiosi dell’organizzazione. Queste unità obbligano a portare il velo e proibiscono di fumare, ascoltare musica, ballare e indossare pantaloni. Quando le hesba sospettano altre residenti del campo di deviare dalla dottrina dell’Isis o di rinnegarla, impongono pesanti punizioni. Queste comprendono frustate, tortura, privazione del cibo, incendio di tende e omicidi».
Ugualmente deleterio il loro influsso sui bambini: «Forse la più preoccupante attività delle donne pro Isis ad Al-Hol è l’indottrinamento dei bambini all’interno del campo. (…) Il generale Paul Calvert, che comanda la missione antiterrorismo Usa in Iraq e Siria, ha indicato che le mogli dei combattenti dell’Isis stanno realizzando un programma di indottrinamento quotidiano, e ha detto che i cosiddetti “cuccioli” sono “fatti rientrare nei ranghi combattenti attraverso canali di fuga da Al-Hol che li conducono nel deserto di Badia per essere addestrati e utilizzati come combattenti dell’Isis”».
L’Isis continua ad essere attivo sia in Siria che in Iraq. Nel primo paese sono stati registrati più di 100 attacchi nel mese di gennaio e 29 in quello di febbraio, concentrati nella provincia di Der Ezzor nel nord-est del paese. In Iraq l’Isis ha colpito anche la capitale Baghdad due volte, in gennaio e in aprile. Secondo l’intelligence americana la somma degli effettivi dello Stato Islamico nei due paesi ammonta a 8 mila unità (al tempo del califfato era arrivata a 34 mila).
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