Per la prima volta in Gran Bretagna un giudice ha autorizzato i medici a far morire di fame e di sete una donna «in stato di minima coscienza» sospendendole idratazione e alimentazione. La «storica» sentenza, che assomiglia a quelle dei casi Terri Schiavo ed Eluana Englaro, emessa settimana scorsa, è stata definita «un’evoluzione del diritto» dal momento che va contro la decisione del Parlamento inglese, che appena due mesi fa ha bocciato a stragrande maggioranza l’eutanasia.
LA MALATTIA. I dettagli del caso non sono stati rivelati alla stampa per motivi di privacy ma secondo quanto riportato dalla Bbc, la donna condannata a morire di fame e sete ha 68 anni, viene curata nel nord dell’Inghilterra e soffre di sclerosi multipla. La signora non ha lasciato volontà specifiche e non ha mai espresso il desiderio di morire, neanche nei primi stadi della malattia.
TESTIMONIANZA DELLA FIGLIA. Il giudice ha deciso basandosi sulla testimonianza della figlia della donna, che ha dichiarato, pur non avendone le prove, che la madre avrebbe voluto morire. «Mia madre lavorava come parrucchiera», ha testimoniato, «il suo aspetto immacolato, l’importanza che per lei aveva il mantenimento della dignità e il modo in cui ha vissuto la sua vita al pieno delle sue possibilità, tutto questo costituiva il suo sistema di credenze. Lei ha vissuto per questo ma ora è tutto finito ed è davvero triste che mia madre soffra in modo indegno e profondamente umiliante da così tanti anni».
NEL DUBBIO. «Se fosse in grado di esprimersi», ha aggiunto la figlia, «non c’è dubbio» che chiederebbe di essere lasciata morire. Peccato che la donna non possa esprimersi e che quindi nessuno possa sapere quale sia la sua reale volontà. Nel dubbio, però, il giudice della Corte di protezione ha deciso di autorizzare la sua morte per fame e sete. Mentre l’avvocato della figlia ha esultato per la «decisione storica», che (piccolo dettaglio) è in contrasto con la stessa legislazione britannica, il dottor Peter Saunders, direttore del gruppo in difesa dei malati e disabili, Care Not Killing, ha protestato: «Purtroppo non conosciamo tutti i dettagli del caso, ma questa sentenza mette in luce tutte le debolezze contenute nella legge».
Infatti, continua, «sulla base discutibile del “miglior interesse” del paziente, un giudice per la prima volta ha autorizzato la sospensione di alimentazione e idratazione a una persona che non è né malata terminale, né ha mai espresso la volontà di porre fine alla sua vita. Questa sentenza crea un pericoloso precedente che potrebbe mettere a rischio le vite di molti malati vulnerabili e disabili».
Foto malato tratta da Shutterstock