In Emilia-Romagna non è tutto rosso quel che luccica
Articolo tratto dal numero di gennaio 2020 di Tempi. Questo contenuto è riservato agli abbonati: grazie al tuo abbonamento puoi scegliere se sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.
Gli emiliani sono gente concreta e Alfredo Cazzola, da buon emiliano, prima di mettersi a “concettualizzare”, quello che pensa prova a esprimerlo con un episodio, un’immagine, un numero. «Nel 2009 da candidato civico a sindaco di Bologna, sostenuto dal centrodestra, con una campagna elettorale autofinanziata partita da zero a febbraio, arrivai a giugno strappando il ballottaggio alla sinistra: presi 73 mila voti, molti di più di quelli che servono per diventare sindaco oggi».
Questo per dire che lui – l’imprenditore che ha fatto grande il Motor Show, oltre alla Virtus Pallacanestro e al Bologna Calcio, e che oggi con la sua holding Finalca investe in diversi campi, dall’immobiliare all’enogastronomico – al contrario di molti osservatori non considera affatto una novità che l’Emilia-Romagna in vista delle elezioni regionali del prossimo 26 gennaio sia una terra “contendibile”. Se non l’avesse intravista già da tempo, la mutazione della Regione rossa per eccellenza, non avrebbe sfidato il Pd proprio nella sua roccaforte felsinea. Nel 1999 c’era stata la vittoria di Giorgio Guazzaloca, vero, però la rossa Bologna aveva rapidamente chiuso quella parentesi (2004) rilucidando la sua tradizionale appartenenza e votando alla bulgara perfino un candidato paracadutato dal “Partito” come Sergio Cofferati. Ma proprio il fallimento di Cofferati, «un disastro riconosciuto come tale da tutti, compreso il Pd», e la successiva candidatura a sinistra di Flavio Delbono spinsero Cazzola, all’epoca fresco di cessione della gloriosa fiera dei motori, a entrare nell’arena. «Mi parve che valesse la pena di sfidare queste decisioni che secondo me erano prese in qualche ristretto circolo cittadino a prescindere dalle qualità delle persone scelte».
L’impegno diretto in politica oggi è un capitolo chiuso per Cazzola, ma lo scenario gli è chiaro da decenni ormai. «La Regione non è contendibile da ieri mattina», spiega l’imprenditore 69enne a Tempi. «Il quadro politico si è fortemente spostato in questi anni, fino a esprimere, nelle aree con problematiche economiche più sentite, come il Ferrarese e il Forlivese, una netta esigenza di cambiamento». La stessa nomea di Regione rossa suona da tempo come «una semplificazione solo relativamente puntuale». In Emilia-Romagna non ci sono solo “il Partito” e le coop. Anzi. «Negli ultimi decenni è emersa una straordinaria capacità industriale, connotata da una fortissima componente hi-tech, che ci ha portato ai vertici italiani in termini di export pro capite, ha salvaguardato la tenuta del territorio durante la crisi più dura (2007-2010), garantisce una crescita economica maggiore rispetto ad altre aree del paese. Tutto questo mentre alcune grandi cooperative chiudono i bilanci con buchi milionari».
La sfida a migliorarsi
La narrazione dell’Emilia “sovietica” è una coperta infeltrita da cui scappano fuori pezzi di realtà locale che probabilmente sono i più dinamici dal punto di vista produttivo e innovativo. «A quelli che strabuzzano gli occhi davanti alle belle statistiche sul Nord-Est, voglio ricordare che in quel calcolo è inserita anche l’Emilia-Romagna. Di più: negli ultimi 24 mesi le performance migliori dal punto di vista industriale sono state registrate proprio da questa regione».
Un certo dinamismo si nota anche a livello culturale. Per dirla con parole tratte da una recente pubblicazione del bolognese Istituto Cattaneo, pensata proprio in vista del voto del 26 gennaio (Allerta rossa per l’onda verde, a cura di Marco Valbruzzi), in Emilia-Romagna «la società si è definitivamente “slegata” dalla politica. La tradizionale cinghia di trasmissione che legava i partiti – in realtà, il “partito” – al mondo associativo e cooperativo si è allentata a tal punto che proprio l’Emilia-Romagna è diventata, negli ultimi decenni, il palcoscenico privilegiato per il debutto di nuovi movimenti collettivi, alcuni nati in opposizione agli attori politici locali (il Movimento 5 stelle su tutti) e altri come reazione al vuoto di rappresentanza politica (da qui il recente “movimento delle sardine”)».
Ma per Cazzola in realtà neanche questa è una notizia. «È naturale che ci sia fermento in una terra il cui capoluogo ha 400 mila abitanti e 75 mila iscritti all’università». Piuttosto quel fermento rappresenta un monito per entrambi i principali candidati in gara, il democratico Stefano Bonaccini, governatore uscente, e la leghista Lucia Borgonzoni: i settanta e rotti anni di ininterrotto “governo modello” della sinistra in Regione conteranno fino a un certo punto, «chiunque vincerà sa già in partenza che dovrà misurarsi con una forte richiesta dal basso: la richiesta di migliorarsi».
Gli stessi “nuovi movimenti” citati, secondo Cazzola, farebbero bene a guardarsi dall’eccesso di contestazione e conservazione. «Queste realtà suscitano sicuramente interesse emozionale», dice l’imprenditore a Tempi, «ma non propongono un miglioramento». In questo le sardine non sono così diverse dai populisti del “vaffa”. «Possiamo davvero prospettare agli italiani che la crescita del paese passi attraverso il grande tema dell’antifascismo? Non dovrebbe essere un aspetto consolidato nella nostra cultura?». In una campagna elettorale dell’anno Domini 2020 «avrebbe molto più senso parlare delle necessità e delle evoluzioni che ci aspettano e di come le si vuole affrontare».
Motori, strade, ambiente, migranti
E qui arriva un altro esempio molto concretamente emiliano, benché ambientato in Germania. «Qualche giorno fa ho letto che a Ingolstadt l’Audi ha distribuito 2.000 auto elettriche ai suoi dirigenti: è andato in tilt il sistema elettrico della città. Non è un problema banale. Siamo all’inizio di un’ondata di innovazione enorme nella mobilità, che arriverà a impattare sulle nostre città e le nostre case. Io mi sono fatto installare un cavo in garage per la ricarica. Ma a tutti gli altri chi ci pensa? Che tipo di impiantistica si sta progettando nella Regione (e nel paese) per far fronte alle esigenze di chi si muoverà con la trazione elettrica e non più a motore termico? Non ci sono piani alle viste. E dire che l’automotive non è un’industria di secondaria importanza in Emilia-Romagna: le varie Ferrari, Maserati, Lamborghini, così come la Vm che produce i motori diesel a Ferrara, dovranno sicuramente ripensarsi alla luce di questo cambiamento epocale. E la Regione? Senza l’infrastruttura necessaria per la generazione di energia elettrica siamo tagliati fuori. Per non parlare dello sviluppo “plastic free” e dell’obbligo sempre più diffuso del riciclo degli scarti industriali. Il prossimo governo dell’Emilia-Romagna ha consiglieri capaci di dare indicazioni strategiche su questi fronti?».
Ancora: la famigerata tangenziale di Bologna. «Non è mica un vezzo dei bolognesi: se si blocca quell’arteria, l’intero sistema paese perde un sacco di ore, perché tutta l’Italia passa di qua. È interesse nazionale che una soluzione si trovi, ma purtroppo in questi 10-15 anni non si è fatto niente. Peggio: più volte si sono disfatti i progetti avviati». Ecco, riflette Cazzola, «da uomo che vive questa regione, mi aspetterei che la visione della politica non fosse proiettata a due o tre mesi, ma al 2030».
Nuovo argomento, nuovo aneddoto. Il tema di sottofondo è sempre l’ambiente, ma questa volta la scena è «la via Emilia, qui sotto», dice l’imprenditore bolognese indicando la finestra dell’elegante soggiorno in cui ospita Tempi nel centro della città. «Questa sarebbe dovuta diventare una strada inaccessibile al traffico, invece è una specie di autostrada per furgoni. Proprio mentre in Emilia-Romagna (come in mezza Italia) si faceva la battaglia per chiudere i centri storici alle auto, un’altra trasformazione fondamentale del nostro stile di vita, la logistica, ingigantiva il problema dei furgoni, che inquinano molto di più delle automobili e hanno pure libero accesso al centro perché devono consegnare a tutte le ore milioni di pacchi a causa dell’e-commerce. Ma nessuno se n’è occupato dal punto di vista legislativo».
Così come sono rimasti di fatto incontrollati i flussi migratori. Certo che c’entra l’immigrazione con il boom di consensi raccolti qui dalla Lega (primo partito in Regione alle europee 2019). Spiega Cazzola ricorrendo ancora una volta a un’immagine: «In un palazzo qualunque della periferia di una città tranquilla come potrebbe essere Bologna, Modena, Reggio Emilia, Ferrara o Forlì, un bel giorno due poveri anziani emiliani si sono ritrovati come vicini 18 famiglie di stranieri che parlano lingue diverse e hanno diverse culture. Adesso tutti gridano al pericolo razzismo, fascismo, nazismo, ma qui tante periferie hanno subìto traumi drammatici che non si possono negare. E invece le amministrazioni locali sono rimaste immobili, anche per non urtare una certa sensibilità».
I robot e i “dimenticati”
C’entra eccome quella che Matteo Salvini chiama “invasione” con la crisi di consensi della sinistra. L’incidenza di stranieri sulla popolazione è al 12,3 per cento, il doppio rispetto a 15 anni fa e ancora in crescita. Per un uomo di business come Cazzola, tuttavia, il problema decisivo resta l’economia. «Davanti alle rivoluzioni tecnologiche di Facebook, Google, Amazon, siamo rimasti a guardare. Li abbiamo apprezzati come soluzioni interessanti ai problemi della vita quotidiana, ma non ci siamo resi conto che questi oggetti, gli smartphone, avrebbero stravolto tutto il sistema consolidato. Penso al taglio di decine di migliaia di dipendenti del sistema bancario: erano l’architrave della classe media nazionale, sono saltati per aria. Idem per molte altre categorie di lavoratori che non hanno le risorse per rigenerare le proprie competenze come richiede un mercato in continua evoluzione».
Non sono gli immigrati a rubarci il lavoro e ad abbattere i salari. «Nelle campagne forse sì», continua Cazzola, «ma nei distretti industriali dell’Emilia-Romagna, dal packaging all’automotive, lì sono arrivati i robot. E così le aziende crescono, magari raddoppiando addirittura il fatturato, ma per i lavoratori la crescita, se c’è, è molto più lenta».
Anche su questo il presidente di Finalca ha una storia concreta da raccontare. Positiva per fortuna. «A un incontro Lions, l’ingegner Sonia Bonfiglioli, imprenditrice dell’anno 2018, proprietaria della Bonfiglioli Riduttori, un’azienda da quasi un miliardo di fatturato, ci ha resi edotti di un investimento enorme per rigenerare, riconvertire la capacità dei suoi operai, specializzandoli sulle nuove tecnologie, perché oggi anche chi sta in catena di montaggio dev’essere un tecnico molto scolarizzato capace di far funzionare dei robot attraverso un computer». Il messaggio è chiaro: «Dove ci sono bravi imprenditori con margini per investire, le cose vanno», commenta Cazzola. E in Emilia-Romagna, confermano i dati, le cose vanno anche meglio che nel resto d’Italia: disoccupazione al 5 per cento contro il quasi 10 del paese. Ma il merito non è della “Regione modello” del Pd, che al contrario nella frenesia da innovazione si è dimenticata per strada parecchia gente.
Non siamo mica gli americani
«Una fetta di territorio cresce, ma alcuni settori, come l’edilizia o il terziario, non dimostrano di avere le risorse per farlo», sintetizza Cazzola. Se a tutto ciò si aggiunge il dato – riportato sempre nel volume dell’Istituto Cattaneo – della «mancata crescita dei redditi medi (con alcune province che mostrano addirittura una diminuzione sebbene molto ridotta)», il quadro ricorda molto l’America che ha portato alla Casa Bianca il populista Donald Trump, il Salvini a stelle e strisce, nonostante una gigantesca mobilitazione di resistenza protosardinesca.
Trump vuol dire protezionismo. Ma The Donald ha gioco facile a minacciare dazi «con alle spalle un mercato formidabile come gli Stati Uniti, con 350 mila consumatori di fascia altissima e una capacità industriale adeguata. Misure protettive potrebbero avere un senso anche per l’Italia, forse, ma purtroppo o per fortuna il nostro paese potrebbe portarle avanti solo con gli altri paesi europei. E l’Europa non è l’America: per i tedeschi la presenza industriale in Cina è vitale, non saranno mai duri con Pechino come vorrebbero francesi e italiani. Ecco, neanche questo è un problema banale».
Sullo stesso tema leggi anche l’intervista al sociologo Sergio Belardinelli.
Foto Ansa
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