Emilia-Romagna, un voto al vento
Articolo tratto dal numero di gennaio 2020 di Tempi. Questo contenuto è riservato agli abbonati: grazie al tuo abbonamento puoi scegliere se sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.
Nel ritratto dell’Emilia-Romagna dipinto dall’Istituto Cattaneo di Bologna in vista del voto del 26 gennaio (Allerta rossa per l’onda verde) si legge che nella regione gli ultimi appuntamenti elettorali hanno segnalato una «frattura centro-periferia» allarmante per il Pd, che «è riuscito a conservare i suoi livelli di consenso nei grandi centri urbani», ma subisce «perdite significative nelle aree prevalentemente rurali».
È qui che «il carattere anti-establishment e anti-europeista» della Lega ha «trovato maggior appeal tra gli elettori più sensibili, quei “perdenti della globalizzazione” che le politiche (nazionali) hanno dimenticato». È «dai ceti meno abbienti nei comuni peri-urbani e periferici» che il centrodestra muove il suo assedio alla roccaforte rossa ormai divenuta contendibile, al punto che alle europee 2019 il partito di Salvini è risultato il più votato in Regione davanti al Pd. Se il governatore uscente Stefano Bonaccini vuole la rielezione dovrà tentare di ricomporre il più possibile quella frattura. E la scelta di Beppe Sala come main sponsor della campagna elettorale, un sindaco diversamente di sinistra di una metropoli ultraglobale come Milano, non pare un buon passo in tal senso.
Tuttavia, stando ai sondaggi, potrebbe avere ragione Sergio Belardinelli quando profetizza che il risultato delle imminenti elezioni emiliane sarà più una «questione di vento». Ciò non toglie che la sinistra, dice a Tempi il sociologo dei processi culturali dell’Università di Bologna, autore con Angelo Panebianco di un saggio su crisi del liberalismo occidentale e ascesa dei “populisti” (All’alba di un mondo nuovo, Il Mulino), farebbe bene a indagare sulle ragioni della propria crisi anziché affidarsi all’aria che tira.
Professore, ha sorpreso tanti la scoperta che il monolite Emilia-Romagna è ormai una regione contendibile.
In effetti sembra incredibile che sia diventata contendibile nei modi che vediamo oggi. Se poi consideriamo che è tra le Regioni meglio amministrate d’Italia, la questione si complica ancora di più.
Lei come se lo spiega?
Ci sono i tanti problemi concreti del tessuto produttivo e dei servizi (a cominciare dalla sanità) che assillano tutta Italia, sebbene qui, come detto, si sentano meno. Infatti penso che l’egemonia della sinistra sulla regione continuerà. Fatico a credere che il centrodestra possa vincere in Emilia-Romagna. Comunque ci andrà vicino, e se si arriva a dire che potrebbe addirittura vincere, ritengo che dipenda dal vento che tira nel paese.
Infatti la sfida emiliana ha toni da sfida nazionale sia a destra che a sinistra.
Sì, e il motivo è il paradosso rappresentato dalla coalizione di governo. È chiaro che il nemico numero uno di Bonaccini è l’esecutivo nazionale; non a caso lui stesso fa di tutto per smarcarsi dal governo. Il quale ha preso provvedimenti, dalla tassa sulla plastica a quella sullo zucchero, che nonostante siano stati smussati peseranno nella campagna elettorale.
Peserà anche l’immigrazione?
La campagna leghista sull’immigrazione fuori controllo può avere qualche appeal in certi settori della società emiliana. Però il vero vantaggio del centrodestra in Emilia-Romagna è il governo romano. Un’anomalia incredibile anche agli occhi dei suoi sostenitori, che si regge solo sul terrore che andando a votare il partito di maggioranza relativa si squagli. Il Movimento 5 stelle ha un interesse concreto a tenerlo in vita; è il Pd che rischia grosso.
Ma adesso il Pd può contare sul movimento delle sardine.
Le dirò che anche le sardine sono un rischio per il Pd. Mi sembra chiaro che sono un movimento d’area di sinistra, ma non è detto che siano tutti voti del Pd. Potrebbero raccogliere anche il disagio di tanti elettori che non digeriscono l’idea di governare con Luigi Di Maio.
Anche in Emilia-Romagna?
No, per il voto del 26 gennaio le sardine saranno il toccasana per il Pd. Come detto, a meno di nuovi scherzi dal governo di Roma, ragioni oggettive per immaginare una sconfitta di Bonaccini non ce ne sono tante. Ciò su cui doveva “tenere” era il vento. E in Emilia-Romagna, dopo che sono scese in piazza le sardine, il vento soffia in modo diverso. Non che dietro ci sia molta sostanza: fa sorridere che un movimento si costituisca per contestare l’opposizione. Però un effetto ce l’ha, le sardine contribuiscono a generare una reazione. Questo nell’immediato. Invece in futuro, ribadisco, se si struttureranno, dubito che lo faranno dentro il Pd, e per il Pd saranno un problema.
Un po’ si vergognano di stare col Pd.
È questo il motivo per cui saranno per il Pd un problema, anche più grande di quanto non lo sia stato il grillismo. Proprio come i 5 stelle, anche se in modo più credibile e civile, diciamo così, senza gli estremismi e senza i “vaffa”, le sardine ridanno corpo a un sentimento tipico della sinistra: quello di una certa superiorità morale, alla quale a sinistra si fatica a rinunciare.
Ma continuando a coltivare questa forma mentis la sinistra non rischia di aggravare la sua crisi di consensi?
Guardi, non direi nemmeno che il primo problema della sinistra sia la “puzzetta sotto il naso”. Questo sentirsi superiore è tipico di una certa élite di sinistra, ma nell’elettorato è molto meno diffuso di quanto si immagini. Credo che il vero problema della sinistra sia la perdita di contatto con il mondo che rappresentava. In Emilia-Romagna si avverte meno perché è una regione in salute. Ma altrove, in Umbria, nelle mie Marche, le sacche di emarginazione e povertà non mancano. È con queste che la sinistra non comunica più.
Però resiste l’egemonia culturale.
Resiste la grancassa mediatica pronta a infiocchettare qualunque espressione “di sinistra”, ma dietro, dal punto di vista culturale, non resta granché. Massimo Cacciari, tanto per fare un esempio, quando faceva politica incarnava benissimo un ideale alto di cultura di sinistra: si occupava di Adorno, Horkheimer, Nietzsche, Schmitt, però sapeva anche parlare agli operai di Porto Marghera. Le due cose gli venivano bene entrambe e si sforzava di tenerle insieme. Oggi la sinistra ha perso il contatto con la sua gente e si aggrappa a una cultura politica astratta, che crede sofisticata e invece è inconsistente.
Invece la destra…
Ovviamente il problema culturale esiste anche per il centrodestra. Sugli immigrati, per esempio, slogan come “a casa loro” o “prima gli italiani” sono stucchevoli tanto quanto “accogliamoli tutti”. Ma bisogna ammettere che oggi rispetto al Pd la Lega è più capace di incontrare bisogni e preoccupazioni reali della gente delle periferie. Dubito assai che nelle periferie possano avere successo le sardine.
Sullo stesso tema, leggi anche l’intervista ad Alfredo Cazzola.
Foto Ansa
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