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Il virus dell’amara giustizia

La vicenda di Ilaria Capua, la scienziata accusata di essere un’untrice e messa alla gogna per due anni in base ad alcune vecchie intercettazioni. Storia esemplare di un’Italia masochista e risentita

Emanuele Boffi
11/04/2017 - 2:00
Interni
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Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Diplomata a diciassette anni; laureata a ventidue; ideatrice della strategia Diva (Differentiating Infected from Vaccinated Animals), la prima che ha consentito di eradicare con successo un’epidemia di influenza aviaria, una metodica di controllo oggi raccomandata dall’Unione Europea, dall’Oie e dalla Fao; direttrice di un centro a Legnaro, dieci chilometri da Padova, periferia della periferia dell’impero, una struttura (pubblica!) che grazie a lei è diventata un centro di eccellenza internazionale; incensata per le sue ricerche da Science, Nature, New York Times, Wall Street Journal; premio Scientific American 50; definita una “Revolutionary Mind” dalla rivista statunitense Seed; prima donna e prima ricercatrice sotto i 60 anni a vincere il Penn Vet World Leadership Award (il Nobel della veterinaria); deputata. Eppure in Italia è diventata un’untrice che faceva quattrini spargendo epidemie. Altro che Nobel, le volevano dare l’ergastolo come ai boss della Mala.

Ilaria Capua ha raccontato la sua storia in un libro appena edito da Rizzoli, ed è un volume amaro e triste. È il racconto di una sconfitta, che è innanzitutto la sua, ma anche quella di un paese in preda alla rabbia e al risentimento, emozioni fosche che annebbiano ogni tipo di lucidità e barlume d’umanità. Storia esemplare come le tante, già troppe, che ci siamo ritrovati a illustrare in questi anni – Silvio Scaglia e Mario Rossetti, per dirne due recenti, e sarà un caso che il nome del procuratore Giancarlo Capaldo torna anche nella vicenda della scienziata? – e che ancora una volta ha a che fare con origami di intercettazioni sforbiciati con malizia, titoli killer in prima pagina, idiozie grilline amplificate in piazze telematiche, pavidità di molti, troppi, che all’unico vero potere rimasto in Italia – il circo mediatico-giudiziario – non sanno frapporre nemmeno un pensiero, una parola, un amen.

Aviaria «dolosa»
È una vicenda nota quella di Ilaria Capua, ma Io trafficante di virus, il libro scritto assieme a Daniele Mont D’Arpizio, ha il pregio di sgranare il rosario oggettivo degli eventi secondo l’ordine soggettivo dell’autrice che riesce così a restituirci il rimbalzo che sulla vita dell’innocente hanno accuse fantasiose e infami. Un punto di vista, uno sgomento, uno sconforto che l’asettica cronaca ci fa intuire, ma non capire. Questa acre autobiografia ha il pregio di restituirci il pondus delle parole, quelle che con troppa fretta i pm vergano sulle carte d’accusa, i giornali riproducono, gli utenti copiano e incollano sulle bacheche dei social network, senza troppe remore, così, solo per pavoneggiare una certa superiorità morale, perché l’indignazione è comunque merce sempre a buon mercato e nessuno si sente in colpa se si propaga come un virus.

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CapuaVIRUS_300dpiEcco, a proposito. Fu proprio all’apice della carriera da virologa che a Capua arrivò il primo segnale. Nella sua vita si stava affacciando un altro virus, più infido di quelli tenuti sotto controllo al microscopio. È il 2007 quando scopre di essere sotto indagine per una poco chiara storia di «contraffazione di sigilli» e «associazione a delinquere». Il 2 luglio 2007 è a Roma per fornire dichiarazioni spontanee nell’ufficio di Capaldo, un magistrato che, la rincuorarono alcuni conoscenti, «non cerca visibilità». A Capaldo – ma Capua lo scoprirà solo in seguito – erano giunte dagli Stati Uniti alcune intercettazioni su Paolo Candoli, un manager del colosso Sanofi, accusato di essersi fatto spedire in Italia un ceppo dell’aviaria. Un processo che in America si era chiuso in un paio d’anni. Di contraffazione di sigilli in quel colloquio si parla pochissimo. Al pm interessa altro ed è per questo, che, ad un certo punto, pone a Capua solo una strana domanda sull’aviaria perché «sembra», «quasi», forse, che la sua diffusione possa essere stata «dolosa». «È possibile una cosa del genere?» chiede il pm. Ovviamente no, è pura «fantascienza» risponde lei. L’incontro si conclude e lei non sentirà più parlare di lui per sette anni.

Nel 2013 Capua entra in parlamento con Scelta Civica di Mario Monti. Decide di mantenere il suo stipendio all’Istituto Zooprofilattico, anche se economicamente non le conviene perché quello da parlamentare è più alto e perché così deve rinunciare al vitalizio e ad altri benefit. Rinuncia persino all’ufficio privato cui avrebbe diritto. «Per ricevere le persone mi bastano i corridoi di Montecitorio, non ho nulla da nascondere».

Il primo aprile 2014 riceve un’email da Lirio Abbate, un giornalista del settimanale l’Espresso, che le chiede informazioni per un articolo che sta scrivendo sull’aviaria. La telefonata che segue è una sorta di interrogatorio nel quale scopre di essere «sotto indagine per traffico illegale di vaccini e virus».

capua-ansa-1H7N3/Pakistan/Hp
Cinquanta ore di tensione dopo, sul sito del settimanale appare la copertina del numero in edicola: “Trafficanti di virus. Accordi tra scienziati e aziende per produrre vaccini e arricchirsi. Ceppi di aviaria contrabbandati per posta rischiando di diffonderli. L’inchiesta segreta dei Nas e dei magistrati di Roma sul grande affare delle epidemie”. Capua è dipinta come una mente criminale «che avrebbe fornito sottobanco ceppi virali alle aziende farmaceutiche per arricchirsi, e attraverso questo traffico avrebbe anche diffuso virus pericolosissimi nell’ambiente, oltre a brevettare una tecnologia al fine di speculare sulla salute pubblica per suo tornaconto personale. Non manca nemmeno un ingrediente per la fabbricazione del mostro perfetto: traffico di virus internazionale, corruzione, business milionario, abuso di atti di ufficio, falso ideologico». Il côté è il solito: intercettazioni decontestualizzate e deduzioni strampalate. Nessun documento, nessuna testimonianza, nessuna fotografia. Il giorno dopo il suo nome è su tutte le prime pagine dei quotidiani nazionali e locali. Tutti riprendono quanto pubblicato sul sito dell’Espresso. Le locandine delle edicole di Padova riportano a caratteri cubitali la notizia: “Ilaria Capua indagata per traffico illecito di virus”.

L’articolo è pieno di errori marchiani. La si accusa di aver causato un’epidemia perché avrebbe dato il virus H7N3/Pakistan/Hp a un’azienda farmaceutica dietro lauti compensi. Tale virus avrebbe infettato milioni di polli in Italia nel biennio 1999-2000. Scrive Capua nel libro: «Chiunque si occupi di influenza aviaria sa che il virus H7N3/Pakistan/Hp non è mai circolato in Italia o in Europa: come dice il nome si è limitato a colpire il Pakistan a metà degli anni Novanta. L’epidemia di cui sono accusata non c’è mai stata». Anche l’addebito di aver costituito col marito e altri una società segreta, la «444», sui cui conti avrebbe riversato i proventi della sua attività criminale, è frutto di un poco innocente misunderstanding.

In realtà il «444 è un centro di costo, un capitolo contabile dell’Istituto Zooprofilattico; vi fanno capo alcuni introiti e spese del mio laboratorio, ma è completamente gestito dal personale amministrativo dell’Istituto. Negli anni 2006-2011 ci sono transitati milioni di euro, certo, ma io, secondo loro, avrei incassato tangenti su un conto dell’Istituto?». Infine è accusata di aver intascato le royalties di un brevetto milionario senza corrispondere il dovuto al Centro. Di che cifre parliamo? Seimila euro, da dividere fra i tre inventori. Duemila euro lordi a testa che, per la cronaca, dopo otto anni non le sono ancora stati corrisposti.

«Nel dubbio, dimettiti!»
Alla prima riunione della Commissione cultura, di cui è vicepresidente, il deputato del M5S Gianluca Vacca chiede le sue dimissioni perché tale carica «richiede a chi la ricopre trasparenza, stato d’animo e statura adeguati». Un’altra deputata grillina, Silvia Chimienti, scrive su internet: «Traffico illecito di virus. Nel dubbio dimettiti!». Sui siti della galassia cinquestelle appaiono insulti irriferibili e uno dei leader, Alessandro Di Battista, ne trae spunto per polemizzare con la maggioranza postando su twitter l’hashtag #arrestanovoi. L’11 aprile 2014 l’onorevole Marialucia Lorefice (M5S) torna a chiederne le dimissioni in un intervento alla Camera in cui descrive lei e gli altri come delle «persone che mettono la propria intelligenza e il proprio sapere deliberatamente al servizio del male», persone «senza scrupoli» che agiscono «in nome del Dio denaro».

In poche ore, la reputazione di una persona è stata demolita. Ci vogliono invece mesi perché la giustizia si pronunci. In tutto questo tempo Capua non viene mai interrogata. Tre mesi dopo la pubblicazione dell’articolo, a giugno, arriva l’avviso di conclusione delle indagini. Dieci settimane dopo l’Espresso, anche Capua può accedere alla documentazione che la riguarda. Nell’informativa (che è il riassunto di 17 mila pagine di documenti) è dipinta come il boss di un’associazione criminale. Fatti? Zero. Soldi? Zero. Solo chiacchiere al telefono. Però secondo i carabinieri del Nas, «senza ombra di dubbio», l’H7N3/Pakistan avrebbe fatto ammalare sette persone tra il 2000 e il 2003. E a proposito del conto 444 su cui si favoleggiano giri di soldi all’estero, gli inquirenti sono costretti ad ammettere che sarebbe stato utilizzato per «pagare il personale». Se ne dovrebbe dunque dedurre che Capua infrangerebbe la legge per retribuire i dipendenti sotto contratto dell’istituto. Nemmeno in nero, ma rendicontando tutto. «Tutto troppo assurdo per essere vero, e troppo vero per essere un incubo». C’è poi un’osservazione di buon senso che va aggiunta: ma se è il mostro che i giudici dipingono, accusandola di reati che prevedono l’ergastolo, perché l’hanno lasciata a piede libero per quasi dieci anni?

Nemmeno una riga in 102 pagine
Le università non la chiamano più a tenere lezioni, a Padova la gente abbassa lo sguardo quando la incrocia, lei smette di frequentare Montecitorio. Per trovare un’eccezione a questo clima occorre uscire dai confini patri. La University of Florida a Gainesville, Stati Uniti, le offre un posto da direttore. Quando Capua li informa della sua situazione, le rispondono così: «Lo sappiamo. Nessuno di noi crede a una sola parola». A due anni dalla copertina dell’Espresso, il primo giornalista a muovere qualche dubbio sull’inchiesta è Paolo Mieli che il 29 maggio 2016 sul Corriere della Sera scrive un articolo in sua difesa (“Un Paese che detesta la scienza”). Il 5 luglio arriva la sentenza del tribunale di Verona dove il suo caso è stato trasferito: tutti prosciolti perché il fatto non sussiste. «Prosciolti. Meglio di essere assolti: significa che non ci sono nemmeno i requisiti per fare un processo. Finisce tutto nel nulla, come una bolla di sapone».

Nella sentenza del gup Laura Donati è scritto nero su bianco che «i casi di infezione umana verificatisi negli allevatori a contatto con gli animali infetti erano una conseguenza naturale dell’episodio e che comunque in un solo caso era stato necessario un intervento terapeutico: “Somministrazione di collirio alla camomilla”». Dopo 28 mesi di gogna Capua è finalmente riabilitata? Nel numero in edicola dell’Espresso dopo il proscioglimento, in 102 pagine non c’è una riga su di lei. Solo dopo qualche protesta Abbate scrive due articoli: nel primo (pubblicato solo sul sito) la notizia è annegata nella ripetizione delle vecchie accuse. Nel secondo il giornalista si difende dicendo di aver fatto solo cronaca e di non aver certo «emesso sentenze».

Il 28 settembre 2016, nel suo discorso in aula in occasione delle dimissioni dalla Camera, Capua dice: «Quello che è successo a me accade troppo spesso in Italia, e potrebbe succedere a chiunque. Voglio dar voce a tutte le persone innocenti accusate ingiustamente, che attendono impotenti che la giustizia faccia il suo corso. Perché anche loro meritano rispetto». L’aula ha accettato le dimissioni con 238 voti a favore e 179 contrari. Oggi Capua lavora negli Stati Uniti, in quell’università che non ha mai dubitato del suo operato. Dopo il proscioglimento, il comitato di presidenza del Csm ha autorizzato l’apertura di una pratica sul procuratore aggiunto di Roma Capaldo. Qualcuno ha notizie in merito? Certi virus sono indistruttibili. 

Foto Ansa

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