Il suicidio assistito non uccide. Però si muore lo stesso

Di Leone Grotti
20 Febbraio 2015
Un progetto di legge in California vorrebbe che sul certificato di morte sia indicata una malattia, non il farmaco letale. Questa evidente falsità ha però un aspetto positivo

Il suicidio assistito può piacere oppure no. Si può essere favorevoli o contrari. È possibile parteggiare per il diritto di morire o credere piuttosto che rappresenti la morte del diritto. Sia come sia, su una cosa sono tutti d’accordo: il suicidio assistito fa male. Cioè, il suicidio assistito causa la morte (buona o cattiva che sia, degna o indegna) del soggetto.

SUICIDIO ASSISTITO NON UCCIDE. Sembra banale, ma non lo è. La legge allo studio in California, infatti, sulla falsariga di quella già approvata nello Stato di Washington, afferma che il suicidio assistito non uccide. Non solo: obbligherà anche i medici a mentire, scrivendolo nero su bianco sul certificato di morte dei loro pazienti.

«LA CAUSA DELLA MORTE». Per essere più precisi, nella proposta di legge (SB 128) presentata il 20 gennaio, si legge: «Il medico curante può firmare il certificato di morte qualificato dell’individuo. La causa della morte indicata sul certificato di morte dell’individuo che assume la medicina che aiuta-a-morire sarà la malattia terminale che ne sta alla base». Il decesso di chi ricorrerà al suicidio assistito, secondo la legge, non sarà dunque causato dal farmaco letale ingerito ma dalla malattia terminale per la quale si è scelto di assumere la “medicina”.

MEDICI COSTRETTI A MENTIRE. Se la legge verrà approvata, i medici dello Stato della California saranno obbligati a mentire su documenti ufficiali governativi a riguardo della causa del decesso dei loro pazienti. Tutto si può dire, infatti, tranne che il suicidio assistito non causi la morte, essendo esattamente quello il suo scopo. Chi ricorrerebbe al suicidio assistito, se non fosse mortale? Nessuno.

UN ASPETTO POSITIVO. L’evidente falsità della legge nasconde in realtà un aspetto positivo. Al di là del motivo pratico che probabilmente ha suggerito questa soluzione – nessuno potrà mai incriminare in alcun modo un medico di omicidio, visto che legalmente il farmaco da loro prescritto non ha ucciso il paziente – è come se ci fosse una segreta e irriducibile vergogna. È come se il suicidio assistito, al di là delle belle parole e delle dichiarazioni roboanti, non fosse davvero considerato una conquista di civiltà ma una sconfitta da nascondere. È come se non fosse l’affermazione della dignità ma una sozzura per l’anima.

CONTRO L’EVIDENZA. E a confermare che il suicidio resta ancora qualcosa di terribile, checché ne dicano i benpensanti, c’è il testo della legge, dove la stessa parola “suicidio” è stata nascosta. Compare appena tre volte, perché la norma riguarda “l’aiuto-a-morire”, non il “suicidio”. E se ancora qualcuno si ostinasse a dire che invece è proprio suicidio, ci sarà un regolare certificato a confermare che la causa della morte è un’altra. Contro ogni evidenza, certo, ma questo non conta: l’importante è che si senta ancora il bisogno di andare contro l’evidenza. Pur di nascondere la verità.

@LeoneGrotti

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