Il senso di Zuckerberg per gli affari (e per la dipendenza dei minori)

Di Piero Vietti
02 Novembre 2023
Meta lancia Facebook e Instagram a pagamento in Europa per provare a tutelare la privacy degli utenti, ma in America 41 stati gli fanno causa per avere danneggiato consapevolmente la salute dei più giovani
Facebook Instagram Meta

Facebook Instagram Meta

Quando Elon Musk ha annunciato di volere mettere a pagamento alcune funzioni di Twitter, oggi ribattezzato X, molti giornalisti ed esperti di comunicazione hanno accusato il nuovo proprietario del social network di volere la morte della piazza libera su cui i loro ego si erano esercitati, anticipando e influenzando la discussione mediatica per anni. Tutti fingevano di non sapere che il modello Twitter non reggeva più economicamente, e che, per quanto nobile, non aveva senso esistere soltanto per permettere a giornalisti, politici ed esperti di dire la loro tra di loro. La moneta corrente delle piattaforme online sono i dati degli utenti, le loro profilazioni vendute a chi fa pubblicità sempre più mirate sui gusti di chi naviga.

Perché Meta lancia Facebook e Instagram a pagamento

Da oggi Musk non è più solo. Meta, la società di Mark Zuckerberg proprietaria di Facebook, Instagram e Whatsapp, ha annunciato che da novembre chiederà ai propri utenti che si connettono dall’Europa un abbonamento mensile da 9,99 o 12,99 euro. Pagare non sarà obbligatorio, ovviamente, e chi deciderà di continuare a restare su Facebook e Instagram potrà farlo, cedendo in cambio la sua anima digitale, i dati. Non solo, Meta non mostrerà più annunci pubblicitari ai minori di 18 anni. Si tratta di due concessioni alle norme più stringenti imposte dall’Unione europea sulla tutela della privacy, tra cui quella che include una disposizione che vieta di mostrare annunci pubblicitari ai minori basati sulla profilazione online.

L’abbonamento e il (temporaneo) blocco delle pubblicità per gli utenti sotto i 18 anni rappresentano importanti cambiamenti di strategia per Meta in uno dei suoi mercati più grandi. Il servizio di abbonamento è un aut aut che ha lo scopo di contrastare la “minaccia” correlata alla pubblicità mirata di Meta, la sua principale fonte di entrate, basata sulla profilazione degli utenti fatta in base alle loro preferenze online. In parole semplici: se non vuoi essere passato ai raggi X degli algoritmi di Zuckerberg, basta pagare.

È la fine di un’epoca, quella dei social network gratuiti in cui gli utenti ignari pensavano di godere di libertà illimitata ma nel frattempo i loro post, i loro like e le loro ricerche venivano analizzati dagli algoritmi e venduti a chi su quegli stessi social comprava spazi pubblicitari. Facebook e Instagram come Netflix e Spotify, dunque, ma per il momento soltanto in Europa, dove l’attenzione per la privacy degli utenti sembra maggiore che negli Stati Uniti.

41 Stati americani fanno causa a Meta

Già, perché in America Meta al momento ha altri problemi: pochi giorni fa infatti è stata citata in giudizio da 41 stati americani che hanno accusato la società di progettare deliberatamente algoritmi per provocare comportamenti di dipendenza nei bambini e di nascondere le proprie ricerche che dimostrano che questi prodotti danneggiano gli utenti più giovani.

Una causa epocale, simile per dimensioni e collaborazione tra procuratori generali repubblicani e democratici a quelle contro le industrie del tabacco e degli oppioidi. Il procuratore generale del Colorado, Phil Weiser, ha fatto esplicitamente questo paragone: «Proprio come hanno fatto le grandi aziende del tabacco e dello svapo negli anni passati, Meta ha scelto di massimizzare i suoi profitti a scapito della salute pubblica, danneggiando in particolare la salute dei più giovani».

L’accusa a Meta è quella di avere «nascosto i modi in cui queste piattaforme sfruttano e manipolano i suoi consumatori più vulnerabili: adolescenti e bambini. Meta pubblicava regolarmente rapporti profondamente fuorvianti che pretendevano di mostrare tassi incredibilmente bassi di esperienze negative e dannose da parte degli utenti delle sue piattaforme».

L’accusa di manipolare consapevolmente il cervello

Non solo. Secondo l’accusa «Meta era consapevole che il cervello in via di sviluppo dei giovani utenti è particolarmente vulnerabile a determinate forme di manipolazione e ha scelto di sfruttare tali vulnerabilità attraverso funzionalità mirate come algoritmi di raccomandazione che manipolano la dopamina». A essere sotto accusa sono i “like” e le notifiche «che richiamano incessantemente i giovani utenti sulle piattaforme di social media di Meta mentre sono a scuola e durante la notte», i filtri che «promuovono la dismorfia corporea», e il modo in cui sono presentati i contenuti, a partire dallo «scroll infinito, progettato per scoraggiare i tentativi dei giovani utenti di autoregolamentarsi e disimpegnarsi dalle piattaforme Meta».

Tempi ne aveva parlato nella sua inchiesta su social e minori di agosto:

«Studi scientifici registrano nel cervello delle persone un aumento di cortisolo e dopamina, la molecola organica che regola la sensazione di piacere, associato all’utilizzo dei social. “La dopamina si attiva quando siamo in attesa di una risposta”, spiega lo psicologo. “Quando pubblichiamo un post e attendiamo like o commenti, nel nostro cervello si attiva la dopamina». È il motivo per cui non riusciamo a fare a meno di guardare subito le notifiche e di controllare lo schermo del telefono in continuazione. “Quella dai device digitali è anche una dipendenza fisica”, dice Lavenia. Ansia, depressione, paragone continuo con modelli irraggiungibili e proposti all’infinito dall’algoritmo incidono sulla salute mentale dei ragazzi».

Dopamina, like ed engagement

Il sistema della dopamina è manipolato, dicono i testimoni esperti citati nella causa, da programmi in cui l’algoritmo alterna in modo imprevedibile contenuti ritenuti più o meno soddisfacenti per l’utente, in modo calcolato per massimizzare il “engagement”, o le ore trascorse online. Un’altra tecnica manipolativa è il “contenuto effimero” che appare solo temporaneamente, spingendo gli utenti a effettuare il check-in frequentemente per paura di perdersi qualcosa. E a proposito di profilazione, la causa accusa Meta di raccogliere e monetizzare illegalmente i dati personali dei suoi utenti più giovani senza il permesso dei genitori. Circa il 62 per cento degli adolescenti negli Stati Uniti utilizza regolarmente Instagram e circa 22 milioni vi accedono ogni giorno. Quella della dipendenza dei minori dai social network è una piaga sempre più estesa.

«La nostra indagine bipartisan è giunta a una conclusione solenne», ha detto il procuratore generale della California, Rob Bonta. «Meta ha danneggiato i nostri bambini e adolescenti, coltivando la dipendenza per aumentare i profitti aziendali». Meta ha risposto dicendosi «delusa dal fatto che invece di lavorare in modo produttivo con aziende di tutto il settore per creare standard chiari e adeguati all’età per le numerose app utilizzate dagli adolescenti, i procuratori generali abbiano scelto questa strada».

Lo scontro tra autorità e Meta era inevitabile

Lo scontro tra Meta e le autorità statunitensi era diventato inevitabile nel settembre 2021, scrive il sito thebmj, quando un informatore, Frances Haugen, product manager di Facebook, ha fatto trapelare una ricerca interna che mostrava che l’azienda sapeva che l’uso di Instagram era associato a un aumento dei tassi di disturbi alimentari tra le ragazze adolescenti. All’epoca «Zuckerberg e i massimi dirigenti furono convocati a testimoniare davanti al Congresso, dove i legislatori di entrambi i partiti li rimproverarono per aver dato risposte sprezzanti. Zuckerberg ha dichiarato alla Camera degli Stati Uniti: “È un malinteso comune che i nostri team abbiano l’obiettivo di cercare di aumentare la quantità di tempo trascorso dalle persone. Il modo in cui progettiamo i nostri algoritmi è quello di incoraggiare interazioni sociali significative”. In attesa di capire come finirà questa causa epocale, Meta ha sospeso i suoi piani per Instagram Kids.

Il capo della Sanità pubblica statunitense, Vivek Murthy, ha pubblicato a maggio nuove linee guida parlando di “prove crescenti” del fatto che le piattaforme di social media siano dannose per i giovani, e spiegando che «siamo nel mezzo di una crisi nazionale di salute mentale giovanile e sono preoccupato che i social media siano un importante motore di quella crisi».

Articoli correlati

0 commenti

Non ci sono ancora commenti.