Tentar (un giudizio) non nuoce

Il respiro sospeso della tregua. Un fragile primo passo verso la pace

Di Raffaele Cattaneo
18 Gennaio 2025
Ora è fondamentale trasformare questa tregua in una base solida per costruire una pace duratura e sostenibile
Striscia di Gaza, 19 maggio 2024 (Ansa)
Striscia di Gaza, 19 maggio 2024 (Ansa)

L’annuncio di un’intesa per il “cessate il fuoco” tra Palestina e Israele ci consente di tirare un sospiro di sollievo. Eppure, non è ancora pace. Non a caso, solo mercoledì un raid israeliano a Gaza ha causato 73 morti. La tregua, infatti, entrerà in vigore solo da domenica. Dentro la guerra, il cinismo è un componente inevitabile con cui bisogna fare i conti.

Dal 7 ottobre 2023, ovvero da 467 giorni, il conflitto ha provocato, secondo diverse fonti, un bilancio di morti che va dai 46.000 agli 80.000 palestinesi, cui si aggiungono le vittime israeliane nel raid (circa 1.200) e quelle successive fra soldati (oltre 500) e ostaggi, 251 i rapiti da Hamas e portati nella Striscia di Gaza di cui ad oggi non sappiamo con certezza quanti siano ancora vivi: forse un centinaio, forse molti di meno.

L’accordo, come noto, si svilupperà in tre fasi distinte e in particolare prevede che il rilascio degli ostaggi avverrà nell’arco di 42 giorni: saranno liberati 3 israeliani ogni settimana, e un numero di detenuti palestinesi compreso tra 990 e 1.650.

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Per una pace duratura

Al di là della contabilità dei numeri, non c’è dubbio che, in un conflitto radicato in secoli di tensioni e incomprensioni, il “cessate il fuoco” rappresenti solo un fragile primo passo. La vera sfida sarà trasformare questa tregua in una possibilità concreta di pace duratura, affrontando le ferite profonde che continuano a dividere due popoli legati da una storia comune e da un dolore condiviso.

Che cosa occorre fare per favorire una pace duratura?

Innanzitutto, è fondamentale continuare a impegnarsi a livello internazionale, sostenendo iniziative come la raccolta di risorse e il dialogo tra le parti. Dal 1947, le Nazioni Unite, con l’accordo delle principali potenze mondiali, hanno identificato l’unica soluzione percorribile: il riconoscimento di due popoli in due Stati. Tuttavia, questa soluzione richiede il contributo diretto dei contendenti, un impegno che, al momento, sembra difficile da realizzare.

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Una volontà condivisa

Da una parte, Hamas mantiene nel proprio statuto la distruzione dello Stato di Israele come obiettivo primario. Dall’altra, crescono in Israele i partiti di destra che spingono per l’occupazione permanente dei territori palestinesi. Nonostante queste tensioni, una soluzione alternativa non esiste: una pace duratura può nascere solo dal mutuo riconoscimento del diritto di esistere di entrambi i popoli.

Questo riconoscimento deve essere accompagnato da esempi concreti di convivenza possibile. Storie, gesti e iniziative quotidiane dimostrano che israeliani e palestinesi possono dialogare, comprendersi, rispettarsi e convivere senza odio. Lo abbiamo raccontato più volte in queste pagine. Questi esempi sono il fondamento su cui costruire una pace reale e duratura. Anche qualora venissero imposte soluzioni politiche da organismi internazionali più forti, senza una volontà condivisa e una consapevolezza diffusa tra le classi dirigenti, ogni accordo rischierebbe di crollare.

Ascolto e riconoscimento

Non possiamo ignorare la debolezza attuale della comunità internazionale e dei suoi organismi. Proprio martedì scorso, il Consiglio della Regione Lombardia ha approvato una mozione proposta dal gruppo Azione-Italiaviva e da me integrata per la Giunta, chiedendo il cessate il fuoco, la liberazione di tutti gli ostaggi e un ruolo più incisivo delle Nazioni Unite. Questa iniziativa politica, alla fine sostenuta da quasi tutte le forze politiche (il M5s non ha partecipato al voto) nonostante le visioni differenti sul conflitto, sottolinea la centralità del dialogo, il ruolo imprescindibile degli organismi internazionali e del rispetto del diritto internazionale, oltre alla necessità di proteggere i diritti umani e rilanciare l’attività umanitaria delle Ong.

È necessario ricordare che per affermare il diritto internazionale, è indispensabile rafforzare gli organismi sovranazionali e restituire loro autorevolezza. Quando le istituzioni internazionali sono derise o ignorate, come è accaduto negli ultimi mesi, diventa impossibile promuovere soluzioni diplomatiche fondate sul diritto e sulla responsabilità condivisa.

L’accordo raggiunto grazie alla mediazione di Qatar, Stati Uniti ed Egitto, che ha portato al cessate il fuoco e all’avvio di un percorso di dialogo, rappresenta un primo passo importante. Ora è fondamentale trasformare questa tregua in una base solida per costruire una pace duratura e sostenibile. La storia ci insegna che la pace non si costruisce con le imposizioni, ma con la capacità di ascolto, comprensione e riconoscimento reciproco.

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